Coinvolti nella preghiera liturgica
Oltre alla preghiera personale, ci pare necessario presentare un secondo tassello nel nostro percorso per crescere nell’amicizia con Gesù: quello della liturgia, che è la massima espressione della preghiera della Chiesa.
Che cosa avviene all’altare
Per dei ministranti si direbbe che sia qualcosa di scontato la preghiera liturgica. Ma partecipare a un rito in una chiesa non equivale necessariamente a un incontro autentico con Dio. I piccoli ministranti infatti possono essere così totalmente concentrati sulle cose da fare all’altare, che corrono il rischio di dimenticare il motivo per cui tutto ciò accade.
Come rimediare?
Occorre per questo formarli alla preghiera liturgica. Anzitutto sarà opportuno, durante la spiegazione dei vari gesti da compiere nel loro servizio, far loro comprendere il significato profondo delle varie parti della Messa, scorrendo con loro il messale, ripercorrendo le varie preghiere, quelle del sacerdote e del popolo, comprendere il significato e il valore delle parole, facendole persino ripetere più volte, perché anche per questi ragazzi è comune il rischio di non conoscere le acclamazioni liturgiche.
Si potrebbe persino come in una gara sfruttare un po’ di sana competizione e premiare quelli che per primi conoscono a memoria le varie parti. Parole e gesti, se compresi, certamente facilitano la partecipazione.
Ma c’è di più
Nel corso delle celebrazioni c’è un’atmosfera, un clima di mistero e di spiritualità che dovrebbe avvolgere chi partecipa. Il rischio che corre oggi la liturgia è quello di pensare che essa tocca i ragazzi e permette loro di partecipare solo se sono coinvolti con gesti e parole. Se un ragazzo non si muove continuamente, non batte le mani, non canta, non sposta quello o quell’altro, pare che non possa partecipare e pregare. È davvero così? La preghiera consiste in questo?
Certo, l’impegno e i gesti sensibili sono fondamentali, perché è proprio della liturgia cavalcare questo canale sensoriale. Tutto il culto della tradizione della Chiesa è fatto di gesti, suoni, colori, parole, odori… e i ministranti sono i primi a sperimentarlo maneggiandoli nel loro agire. Ma non sono lo scopo ultimo della celebrazione, sono piuttosto un mezzo per condurci a quell’«a tu per tu» che ogni uomo è chiamato a intessere con il suo Creatore.
L’anima e il cuore
Ai ministranti, insieme a gesti e parole, dobbiamo insegnare a respirare un’aria diversa (sempre che il celebrante e la comunità permettano che essa si crei!), a entrare dentro la celebrazione, dentro i gesti, a pregare con il cuore, a unirsi interiormente a ciò che accade nel rito, sull’altare, a rivolgersi interiormente al Signore, a gustare e sfruttare la forza delle diverse posizioni del corpo, del canto, ma anche del silenzio, spesso assente nelle nostre liturgie.
Così i ministranti non saranno semplici esecutori di azioni sacre, ma ci metteranno l’anima, capiranno che «Dio è qui», che qui mi incontra!
Probabilmente è proprio questa l’età giusta per incominciare, gradualmente, valorizzando ad esempio il momento dell’elevazione e del silenzio dopo la comunione, per intraprendere un dialogo profondo con Gesù vivo nell’Eucarestia.
L’animatore potrebbe utilmente leggere di Romano Guardini: Lo spirito della liturgia. I santi segni (Morcelliana), dove l’autore tenta una semplice mistagogia dei segni tipici della liturgia.
Thierry Dourland