Alla fine di un anno

Tempo per tirare le somme, rivedere il percorso, gioire dei successi e imparare dagli errori per non rifarli più. Ma anche occasione buona di mettere le basi per nuovi cammini ed esperienze, programmare con anticipo, lanciare iniziative e sognare.Un cammino di luce.

Un pullman che parte

La copertina raffigura un gruppo di giovani che partono insieme alla catechista e al giovane parroco (o viceparroco – beato chi ne ha uno!). Dove stanno andando? Al ritiro in preparazione alla Cresima? Oppure stanno partendo per un campo estivo che lascerà ricordi indelebili e darà il via al nuovo gruppo di post-cresima? Forse sono giovani animatori che si stanno preparando all’Estate Ragazzi e incominciano con un’esperienza comunitaria che li leghi e li carichi! Di certo si respira un clima di gioia e di voglia di fare, non di conclusione e di «evviva, è finita!». Vuole essere il nostro augurio a conclusione di tante fatiche, che non devono appesantire i nostri volti, ma illuminarli della gioia di chi semina nel campo del Signore.

Un’estate da non sprecare

Forse anche noi tendiamo a tirare i remi in barca nel periodo estivo. Diamo l’appuntamento a settembre, a ottobre, e inconsapevolmente, ma chiaramente, trasmettiamo l’idea che le vacanze scolastiche siano un periodo di ferie anche per la fede, la partecipazione all’Eucarestia domenicale e la preghiera. Per questo, proponiamo un sussidio che aiuti a portare Gesù in vacanza.

Un successo assicurato

Quali le esperienze di successo? Di sicuro le tante, tantissime proposte di Estate Ragazzi, di vita di oratorio, di centri estivi e di campi al mare, in montagna e in collina, di Grest. Non sono qualcos’altro rispetto alla proposta catechistica, ma formano un tutt’uno con essa. E la presenza di altri ragazzi, magari anche di religioni diverse, aumenta, anziché sminuirne la qualità. Perché i valori dell’accoglienza, del rispetto, della ricchezza dell’incontro con l’altro sono messi in gioco nella realtà di tutti i giorni.
L’Estate Ragazzi non può essere un “affare” degli animatori e di qualche volontario. Su quel pullman ci siamo tutti, c’è l’intera comunità pastorale ed educativa: don, catechisti, educatori, animatori, genitori e ragazzi. E tutti insieme chiediamo allo Spirito Santo che ci illumini nel cammino, perché senza non sappiamo dove andare. L’autista, anche se non è inquadrato, è Lui.

Guardar le stelle

È quanto Dio chiede ad Abramo, gesto di fede e di speranza, gesto che apre il cammino e muove i passi. È quello che viene chiesto a noi, atto di chi crede nella novità che viene dal Signore.

Come Abramo in cammino

Era un momento difficile quello che stava passando Abramo: dopo venticinque anni dalla sua uscita da Carran, continuava a essere un nomade senza discendenza. La risposta di Dio non si fa aspettare: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle. Tale sarà la tua discendenza» (Gen 15,5). Quello sguardo rivolto al cielo stellato campeggia nella copertina di questo primo numero, che apre l’anno catechistico illuminato da una luce che proviene dall’alto. Forse non è il nostro sole sfolgorante, ma quel flebile bagliore è la luce di miliardi di soli che disegnano in cielo la meravigliosa opera di Dio e che invitano alla contemplazione, alla lode e al ringraziamento.

Anche noi in cammino

Anche noi, che possiamo passare momenti duri, di buio e stanchezza, siamo chiamati ad alzare lo sguardo verso l’alto per riprendere il cammino. Noi, chiamati a dare risposte al senso profondo che ogni uomo, ogni bambino, ogni genitore, sente pulsare nel profondo. Noi, capaci di trovare una direzione a chi vaga illuminato dalle troppe luci di una notte abbagliante fino allo stordimento. Noi, pronti a partire (e con una rivista completamente rinnovata – fateci pervenire le vostre osservazioni!), con la certezza della meta.

Per far alzare lo sguardo

Siamo un dito puntato verso il cielo, una spiegazione che sa ancora affascinare, un abbraccio che non stringe ma che libera, una mano che sa accompagnare, passo dopo passo, verso una comunità nuova radunata nel nome del Signore. A lui la gloria nei secoli dei secoli.

Fede: lotta, ricerca e preghiera

L’episodio della lotta di Giacobbe con l’angelo sulla riva destra del fiume Iabbok è un momento solenne e carico di significati nell’esperienza della fede, e una strada anche per noi, comunicatori di un incontro che cambia la vita.

Una notte di silenzio e lotta

Perché mai Giacobbe si sarà fermato sulla riva destra dello Iabbok, dopo aver traghettato tutto e tutti sull’altra sponda? Cercava la solitudine e il silenzio ed era in preghiera. Era “una lotta dura”, perché il sonno lo assaliva e a volte pareva vincerlo, ma soprattutto erano i mostri dello scoraggiamento, della sfiducia, della paura che si avventavano su di lui e lo lasciavano pieno di ferite. In quel momento solenne e sacro Giacobbe riceve un nome nuovo, che lo raggiunge nel centro del proprio essere, un orientamento nuovo alla propria vita…

Diventa “Israele”, cioè “è forte con Dio”. Il libro della Sapienza dice: «Gli assegnò la vittoria in una lotta dura, perché sapesse che la pietà è più potente di tutto» (10,12).

Sui passi della fede

Nel nostro cammino di catechisti possono esserci momenti come questi, quando il buio della notte e la lotta incessante sembrano sopraffarci. Non sarebbe vera la preghiera e inconcludente la ricerca se non diventasse lotta dura, che lascia il segno nella carne, che ci cambia il nome. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di restare sulla riva destra dello Iabbok, nel silenzio misterioso della preghiera che si fa invocazione e riconosce che le parole che illuminano, il coraggio dell’annuncio che risveglia gli animi, la forza che smuove le volontà, la ricerca che porta risposte, provengono unicamente da Dio. E non dalle nostre astuzie, dalle nostre programmazioni e dai nostri progetti.

Una slogatura e una benedizione

Non saremo vincitori impavidi, ma combattenti feriti in quell’ospedale da campo che è la Chiesa, e condivideremo la benedizione di Dio che ha segnato i nostri giorni.
Buon anno di lotta, ricerca e preghiera.

Vivere il tempo dell’attesa

Tre figure riempiono il tempo dell’attesa: Isaia, Giovanni Battista e Maria. Speranza, testimonianza e disponibilità ci guidano a vivere l’attesa del Natale.

Isaia, il profeta della speranza

Per una tradizione antichissima ed universale le pagine più significative del libro di Isaia sono proclamate durante l’Avvento, perché in lui, più che negli altri profeti, si trova un’eco della grande speranza che ha confortato il popolo eletto durante i secoli duri e decisivi della sua storia con Dio.

Gli annunci di Isaia rincuorano il popolo oppresso da molti nemici e nella schiavitù di Babilonia rinfrancano dallo sconforto.Le sue parole costituiscono un annuncio di speranza perenne per gli uomini di tutti i tempi.

E sono speranza per noi, annunciatori gioiosi ed appassionati della salvezza che solo Dio può donare, impegnati a vivere in un mondo che non si accorge dei luminosi segnali della presenza di Dio che era, che è e che viene.

Giovanni, battezzatore e testimone

La seconda figura è quella, statuaria e potente, dell’ultimo profeta dell’Antico Testamento, il battezzatore che urla nel deserto. Egli è scelto da Gesù per essere quel testimone scomodo che mette in crisi le sicurezze di ognuno, ma che indica anche strade concrete di vita nuova e di sincerità.

Più che le sue parole che pure sono forti e chiare, il suo stile di vita e la sua morte ingiusta sono una testimonianza concreta della centralità di Gesù e la certezza che nulla può mettere a tacere il grido della giustizia e l’invito a cambiare, a convertirsi e a vivere una vita nuova.

Per noi, testimoni con la parola e, soprattutto, con la vita, Giovanni resta la fiaccola che arde e risplende e chiede di non restare nascosti.

Maria, l’immacolata

La risposta generosa di Maria crea lo spazio nel mondo perché Gesù trovi casa. La sua disponibilità ci ammaestri perché il suo Figlio entri e rimanga nelle nostre case.

A tutti voi i migliori auguri di un santo e gioioso Natale.

Rossi Valter