Il primo incontro… e gli altri

L’anno catechistico appena trascorso ci ha fatto vivere una bella esperienza, ma probabilmente ci ha anche lasciato un po’ di amaro in bocca per qualcosa che poteva riuscire meglio. Come inizieremo l’anno nuovo? Accogliamo felici questa nuova avventura, raccogliamo con gioia la sfida di incontrare nuovamente i ragazzi.    

 

Un nuovo anno catechistico

□ Ci risiamo, tra pochissimo incomincia un nuovo anno catechistico! Probabilmente ci siamo già incontrati con il parroco e con il coordinatore della catechesi. Forse c’è stata anche una prima riunione per orientarci bene sin dall’inizio. Ma se non fosse stata organizzata, è tempo di tenere questa riunione al più presto, prima che comincino gli incontri con i ragazzi.

□ I ragazzi ci stanno aspettando ed è normale che abbiamo un po’ paura di incontrarli e di cominciare. Non preoccupiamoci più del dovuto. Gli altri catechisti nelle stanze vicine vivranno più o meno la nostra stessa esperienza.

 

Buongiorno!

□ «Buongiorno, ragazzi!». Sono queste di sicuro le prime parole che dovremo dire. Con la bocca e con il cuore. Sono le parole usate ogni volta da papa Francesco e fanno capire subito che li stavamo aspettando con gioia, che ci fa piacere incontrarli. Sorrisi, strette di mano e – un po’ più tardi, prima di lasciarci ─ bacetti per tutti e per ciascuno.

□ Avremo certamente ricevuto l’elenco dei ragazzi con i loro nomi. Molti di loro probabilmente li conosciamo già; dei nuovi faremo presto la conoscenza. Può darsi che dopo i mesi estivi si siano dimenticati i nomi dei compagni e potremmo lanciare un gioco per rinfrescare la loro memoria (cf Dossier Catechista, settembre 2016, pag. 56).

 

La preparazione

Quando sarà il giorno, arriviamo nella sala dell’incontro un po’ prima per renderci conto di tutto e per valorizzare al meglio l’ambiente. Cambiamo l’aria, controlliamo la luminosità e che ci siano posti a sedere per tutti, un tavolo da lavoro. Il modo migliore di sistemarci, ovunque ci troviamo, è sempre metterci tutti attorno a un tavolo. Potremo comunque cambiare disposizione se ce ne sarà bisogno: per vedere un video, per parlarsi tra di loro, per cantare, per pregare o per altre attività. L’unica disposizione sempre da evitare è quella di tipo scolastico, con l’insegnante che parla e gli altri, fermi ai loro posti, che ascoltano.

□ Mettiamo alle pareti dei bei poster, che diano subito l’idea di essere entrati nel mondo della catechesi e in una dimensione ecclesiale e amichevole. Dossier Catechista ne ha pubblicati tanti in questi anni.

□ In un angolo in bella vista ci sia una copia della Bibbia. Accanto, un fiore, una candela, qualche oggetto simbolico.

 

L’atmosfera

□ Una delle cose che più contribuiranno al buon andamento dell’incontro è il clima di serenità che riusciremo a creare.

□ Una voce tranquilla e il nostro volto sereno e disteso faranno sbollire una certa eccitazione e favoriranno l’attenzione dei ragazzi. Chiederemo a loro di parlare uno per volta, con calma, disponibili ad ascoltare gli altri.

 

Struttura di ogni incontro

□ Bisogna metterlo sul conto, i ragazzi fanno sempre molta fatica a rimanere concentrati a lungo. Dobbiamo dividere il tempo dell’incontro in tre o quattro parti. Ormai lo sappiamo, i ragazzi ricordano solo il 10% di ciò che ascoltano, mentre ricordano il 70% di ciò che ricercano personalmente e li coinvolge direttamente. Bisogna evitare i lunghi discorsi.

□ Per presentare il tema basteranno poche parole, seguiranno un’attività pratica, un momento di preghiera e il dialogo con i ragazzi.

□ Ma ecco come si potrebbe strutturare un incontro di un’ora, un’ora e mezza, in cinque passaggi:

1. Accoglienza e qualche istante di riflessione e di preghiera.

2. Un rapido ripasso di ciò che è stato fatto la volta precedente.

3. La presentazione dell’argomento nuovo e il suo collegamento con i temi trattati precedentemente.

4. Un’attività che aiuti ad approfondire l’argomento del giorno.

5. Il tempo della riflessione conclusiva, personale e di gruppo. Qualcosa di scritto sul quaderno, un canto, la lettura solenne di un brano biblico collegato al tema, una preghiera per concludere.

 

La gestione del gruppo

La catechesi la si vive generalmente in piccoli gruppi, meglio se i ragazzi non sono più di dodici. Ma nelle celebrazioni e nelle attività speciali, può essere coinvolta l’intera comunità dei ragazzi e delle loro famiglie.

□ Ogni gruppo ha un po’ le sue regole, le proprie intese e dinamiche. Dovremo comunicarle e farle rispettare. I ragazzi dovranno essere messi in grado di ricevere tutto ciò che di bello e positivo verrà proposto al gruppo.

□ Ciascuno tuttavia parteciperà secondo il proprio temperamento. Se un ragazzo è timido ed è facilmente bloccato nell’esprimersi, lo potrà fare per iscritto e poi leggere ciò che avrà scritto, o potrà dircelo all’orecchio. Chi è troppo vivace e troppo intraprendente, andrà invitato a fare spazio anche agli altri, a esprimersi con calma e senza agitazione.

 

I programmi e gli imprevisti

□ Ogni ragazzo deve occupare un posto speciale ai nostri occhi. Stiamo attenti alle esigenze di ciascuno. Qualcuno può essere a disagio per qualche motivo che non conosciamo, magari vorrebbe parlarci in privato. Entriamo in dialogo e in confidenza con ciascuno di loro. Rendiamoci disponibili, magari a incontrarli anche al termine dell’incontro.

 

Le domande difficili

□ Fare delle domande è una delle cose più positive di un incontro di catechesi. Quando i ragazzi si interrogano e chiedono spiegazione al catechista significa che sono coinvolti dall’argomento e il catechista dovrebbe sentirsi sinceramente compiaciuto.

□ Nello stesso tempo le domande dei ragazzi sono spesso una delle preoccupazioni principali di noi catechisti. «E se non riesco a rispondere?», pensiamo. Domandiamoci: «Che cosa interessa davvero a questo ragazzo?». Ma anche: «La questione interessa anche gli altri?». Al limite possiamo annotarcela, dire che risponderemo la prossima volta. Forse potremmo intanto chiedere a lui ─ a loro ─ di dire che cosa pensano su questa questione, e capire che cosa vogliono davvero sentirsi rispondere.

 

Al termine dell’incontro

Respiriamo, prendiamo qualche appunto, segniamoci ciò che pensiamo di dire la volta seguente. Sfogliando la nostra Agenda di mese in mese, potremo anche renderci conto del cammino che stiamo proponendo ai nostri ragazzi, a quali mete e a quali progetti di vita li stiamo conducendo.

STEFANO TORRISI

Quando il catechista è un leader

I catechisti, mentre accolgono i ragazzi e gli adulti, devono sentirsi essi stessi accolti con simpatia. Per avere seguito, per riuscire a dare forma al loro gruppo catechistico. Essi trasmettono entusiasmo e fiducia, fanno capire con la loro presenza che tutto andrà bene.

 

Conoscere chi avviciniamo

Sia con i ragazzi che con gli adulti, la prima condizione per esercitare la nostra leadership è quella di conoscere chi abbiamo davanti, capire che cosa desiderano, di che cosa hanno bisogno, quali sono i loro interessi, i loro gusti, che cosa si aspettano dal nostro incontro o dal catechismo. Magari prendere atto della loro stanchezza o addirittura del loro rifiuto e della loro indifferenza.

 

Metterci dalla loro parte

I catechisti incontrano le persone e i ragazzi ed essi hanno l’impressione di essere conosciuti da sempre, personalmente. Stabiliscono un buon rapporto con tutti. Entrano in empatia, quella che li rende capaci di capire il loro stato d’animo, che li fa mettere nei loro panni. Evitando di dare su di loro giudizi negativi in partenza, accostandoli senza prevenzioni, senza chiusure, disponibili a prestare attenzione alle loro attese e ai loro problemi.

 

Chiarezza sugli obiettivi da raggiungere

Se il catechismo viene tante volte accostato al simbolismo del viaggio è perché sarebbe un guaio, se prima di una partenza e di un nuovo inizio il catechista non avesse ben presenti la meta che vuole raggiungere o non conoscesse con chiarezza l’itinerario. Solo così saranno i primi a credere in ciò che propongono, avendo le idee chiare sugli obiettivi da raggiungere, sapendo dove vogliono condurre chi accompagnano.

 

Certezza sui valori da trasmettere

I catechisti sanno di avere qualcosa di vero da «vendere», da proporre. Nessuno più di loro sa quanto i valori del Vangelo possono trasformare una vita, renderla felice e realizzata. Per questo non hanno paura di parlare di sé in termini veri, anche della propria fede. E lo fanno senza imbarazzo e senza mettere in imbarazzo. Lo fanno in tutta spontaneità, con sicurezza e gioia.

 

Dei simpatici e abili comunicatori

Certe qualità sono spesso innate in chi s’impegna in un’attività di animazione o di volontariato. In ogni caso ogni catechista dovrebbe sforzarsi di avere la capacità di coinvolgere e creare appartenenza. Soprattutto dovrebbe creare un bel feeling, un clima di leggerezza e di bellezza, la facilità di sorridere e far sorridere. Lasciando in tutti la sensazione piacevole di vivere insieme una stessa bella esperienza.

UMBERTO DE VANNA

Dio nel volto di un Bambino

Nel Natale di Betlemme Dio si affida agli uomini. Si fida di noi. Si mette nella nostre mani con la fragilità di un bambino.  

 

Umanità di Gesù

□ Betlemme è il primo gesto, la prima scelta del Figlio di Dio di mettersi con i piccoli, con quelli che non contano. Obbedisce a un ordine di Augusto. Nel vero senso della parola, il Figlio di Dio si fa carne. L’espressione greca farsi carne, sarx, non vuol dire soltanto diventare uomo, ma farsi fragile, debole.

□ L’uomo ha bisogno di segni, ha l’esigenza di vedere e di toccare, di ascoltare. Dio rispetta questa nostra esigenza e si mostra in una persona concreta come noi: Gesù è il segno visibile dell’amore invisibile del Padre. «Ciò che appare, allorché Dio si manifesta in persona, è un uomo. Anzi, addirittura un bambino» (Yves Congar).

 

Uomo tra gli uomini

Gesù si fa bambino assumendo fino in fondo la nostra carne mortale, con tutti i rischi del caso. Una nascita nella più estrema povertà, un’infanzia di esule in Egitto, una vita in una famiglia di gente umile. Sceglie per sé una condizione di vita che è quella della maggior parte della gente del suo tempo, nasce e vive tra artigiani e contadini, pescatori e fabbri. Tutto questo lo dice bene Dietrich Bonhoeffer: «Dio si è fatto bambino. Eccolo nella mangiatoia, povero come noi, misero e inerme come noi, un uomo fatto di carne e sangue come noi, nostro fratello. Eppure è Dio, eppure è potenza. Dov’è la divinità, dov’è la potenza di questo bambino? Nell’amore divino in cui si è fatto uguale a noi. La sua miseria nella mangiatoia è la sua potenza. Nella potenza dell’amore supera l’abisso tra Dio e l’uomo».

 

Un gesto di fiducia da parte di Dio

□ Mettendosi bambino nelle mani degli uomini, Dio lo fa a suo rischio. Sin da subito c’è chi cerca, in Erode, di impedirgli di vivere.

□ È bello ciò che scrive a questo riguardo Marina Marcolini, docente di letteratura italiana a Udine. Partendo dalla mancanza di fiducia nei confronti di Dio del primo uomo e della prima donna del racconto della Genesi, ricorda la risposta di Dio, che invece si mette nella mani dell’uomo. Dice: «L’uomo e la donna non si sono fidati di Dio? Ebbene, Dio si fiderà di loro, inventandosi l’incarnazione. Si fiderà a tal punto da consegnarsi nelle loro mani inerme, vulnerabile, bisognoso e incapace di tutto, un bimbetto che piange. Si fida, e la ragazzina dice sì e impara a fare la madre».

    UMBERTO DE VANNA