Con la gioia negli occhi e nel cuore

Per entrare nella vita e nella catechesi con uno spirito grande, ci rifacciamo questa volta alle parole di una giovane ebrea che ha chiuso i suoi giorni a soli 29 anni in un campo di sterminio.

Il Diario di Etty Hillesum

□ Etty Hillesum è certamente una delle figure più luminose del secolo scorso. Nata in Olanda, è stata vittima dell’occupazione nazista e ha concluso la sua breve vita nel 1943 a 29 anni nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo Diario, pubblicato solo nel 1981, rivela la sua personalità, il suo amore alla vita, testimonia il suo stato d’animo sempre portato a vedere gli aspetti positivi di ogni situazione, anche la più dolorosa e tragica, vivendo sempre in stretta comunione con il suo Dio, così vicino al Dio cristiano.

□ Rileggendo questo Diario a poco più di cento anni dalla sua nascita (1914) ci si imbatte in pensieri che hanno dello straordinario e che possono dare anche a noi catechisti la disposizione più favorevole per affrontare le inevitabili consuete difficoltà con un atteggiamento non troppo pauroso, di chi si scoraggia alle prime avversità, ma che sa organizzarsi ed accogliere ogni nuova sfida con un’apertura dell’animo grande.

Donare anche agli altri la forza della vita

□ Scrive Etty nel suo Diario: «Tempo fa, Hans de Puis, sulle scale dell’università, mi ha detto: “Sì, sei proprio una personalità radiosa”. E io credo che potrei esserlo e che potrei donare anche agli altri un po’ di forza nella vita e che potrei davvero essere felice. Perché questo è un punto di arrivo: essere davvero, intimamente felice, accettare e gustare il mondo di Dio senza allontanarmi dal tanto dolore che c’è».

□ Che dire di più e meglio? È questo il modo giusto di incontrare e accogliere i ragazzi e i loro genitori. Il catechista è una persona felice che si dona e si rende disponibile a starti accanto.

Esserci con tutto il cuore

□ Un altro pensiero, scritto nel 1942, a pochi mesi dalla fine: «Quest’oggi ho imparato una cosa fondamentale: dove per caso ci si trova collocati, là si deve esserci con tutto il cuore. Quando si ha il cuore da un’altra parte, non si riesce a dare abbastanza alla comunità nella quale per caso ci troviamo, e la comunità, di conseguenza, s’impoverirà».

□ Così è nella catechesi, a cui non ci si può dare in punta di piedi, provvisoriamente, con il desiderio di fare altro il più presto possibile. Mentre si deve sentire profonda l’appartenenza, comprendere l’utilità del nostro servizio ai ragazzi e alle famiglie, felici di percorrere insieme a loro lo stesso cammino.

Far crescere l’altro

□ Scrive ancora Etty Hillesum nel suo Diario: «L’altro, portarlo con sé sempre e ovunque, racchiuso in se stessi, e là vivere con lui. E non solo con uno, ma con tanti. L’altro, accoglierlo nello spazio interiore e lasciare che lì raggiunga la fioritura, dargli un luogo nel quale possa crescere e dispiegare se stesso».

□ È questo il senso di una catechesi che funziona: aiutare i ragazzi a crescere fino a raggiungere una magnifica «fioritura», finché non si realizzi il miracolo di vederli avviati davvero a una bella vita cristiana.

UMBERTO DE VANNA

Gesù, il buon pastore

La copertina presenta un’immagine «classica» di Gesù, e aiuta il gruppo di Luisa a entrare nel modo di fare di Gesù e della sua Chiesa.

 Parliamo di Lui

Questa volta non ci vuole più di un secondo per riconoscere il protagonista: è Gesù e si sta occupando delle sue pecore.

Filippo vuole fare un po’ lo spiritoso: «Ma Gesù non faceva il falegname? Quindi non ha mai fatto il pastore!».

«Lo ha fatto, ma in un modo diverso», precisa Luisa.

Professione pastore

«Io non ho mai visto un pastore», confessa Giusy. «Cosa fa durante la giornata?».

«Si prende cura delle sue pecore. Ha costruito per loro un rifugio per la notte. Di giorno le conduce ai pascoli migliori e controlla che nessuna si perda o si faccia male».

«Quindi è un bel mestiere, all’aria aperta». Tony sta sognando un po’.

«Beh, ha i suoi pregi e i suoi difetti. Sicuramente ci si sporca, e non di biro…».

Luisa lascia immaginare. «È un lavoro che ha bisogno di amore e passione. Gesù dice che un buon pastore ─ a differenza di un guardiano a pagamento ─ non scappa quando vede il pericolo del lupo. Perché le pecore sono sue. Gesù considera così ciascuno di noi: suoi discepoli, suoi fratelli».

Sui passi di Francesco

«A me il disegno ricorda una foto di papa Francesco. Ho visto una volta che anche lui aveva una pecora sulle spalle!». Sonia si illumina pensando a lui.’

«Sì, mentre assisteva a un presepe vivente gli hanno messo sulle spalle un agnellino. Lui è stato al gioco e si è messo a ridere. E la foto ha fatto il giro del mondo. Questo papa ricorda Gesù, soprattutto nei confronti delle pecore smarrite, dei poveri e degli ultimi che hanno bisogno della misericordia di Dio».

«Cos’è la misericordia?». Quando non capisce, per fortuna, Claudia chiede il significato delle parole!

«È la virtù del cuore di Dio: ama e perdona le creature “misere”, coloro che sanno di aver bisogno di Lui». Luisa sa che quest’anno sarà un Giubileo della Misericordia. Questa parola deve iniziare a entrare nei ragazzi. Ma ora le interessa un ultimo aspetto.

Pastori, anche noi

«Non solo i grandi sono chiamati a essere buoni pastori, a prendersi cura di qualcun altro…».

«Io spesso devo star dietro al mio fratellino più piccolo». Franca sta seguendo.

«Io per una settimana ho dovuto aiutare mio nonno che si è rotto una gamba». Anche Filippo ha centrato l’argomento.

«Io do sempre da mangiare al mio pesciolino rosso». Luca non vuol essere da meno!

«Bravi. Proprio ciò che intendevo! Gesù ci insegna uno stile di vita, e non c’è bisogno di essere professori o adulti per metterlo in pratica. Tutte le volte che vogliamo bene a qualcuno, e siamo attenti ad aiutarlo, Gesù è felice, perché sa che il suo gregge di uomini è in buone mani».

Luisa guarda orgogliosa i suoi ragazzi. Mai come oggi si sente chioccia, anzi, pastora.

Nella foto: Papa Francesco, anche lui Buon Pastore!

PER L’APPROFONDIMENTO

° Noi catechisti siamo i pastori più visibili dei nostri ragazzi. Quanto teniamo a loro? Quanto tempo gli dedichiamo? Sono presenti nella nostra preghiera?

° «Conosco le mie pecore ed esse conoscono me», dice Gesù. Quanto le conosciamo? Quanto conoscono loro di noi?

° Gesù ha un pensiero per le pecore che non sono nel recinto. Cosa facciamo, come comunità, per i ragazzi che non vengono a catechismo, perché appartenenti a famiglie indifferenti o di altre religioni? C’è disponibilità e accoglienza nei loro confronti?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

La chiamata di Mosé

La storia di Mosè. Uno spunto per parlare della chiamata di Dio, che può fare di noi cose grandi, nonostante fatiche e paure.

 

Un’esperienza di tutti

Di che cosa abbiamo paura? Questa volta l’incontro di catechesi decolla a partire da questa semplice domanda della catechista Luisa.

«Io ho paura del buio», confessa Claudia.

«Io non riesco a vedere certi film orridi», dichiara Veronica.

«Io non sopporto i cani ─ dice Tony «che tutti credono coraggioso ─. Una volta uno mi è corso dietro».

«Io ho paura per i miei quando bisticciano forte. Non mi piace vederli giù». Giusi tocca corde profonde. Forse ha timore che si separino.

 

Le paure di Mosè

Luisa estrae la rivista, dove campeggia un uomo visibilmente preoccupato. Quali saranno le sue paure?

«Secondo me ha paura del fuoco», azzarda Filippo.

«Ma sta guardando altrove ─ sbotta Francesca ─. Sembra che abbia visto un fantasma!».

«In effetti ha sentito una voce che non si aspettava di sentire», spiega Luisa. «La voce di Dio».

«Come poteva sapere che era lui? Si è presentato?», si chiede Fulvia.

«Sì, gli ha detto: “Ciao, sono Dio!”». Filippo fa lo spiritoso.

«Beh, c’era qualcosa di molto strano. Quel cespuglio bruciava ma non si consumava. E la voce si presentava come Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe», chiarisce Luisa.

«Allora… è Mosè!». Giulia ama le storie e ricorda. «Aveva perso una pecora e Dio lo chiamò a liberare gli Ebrei schiavi in Egitto».

 

Un eroe dal volto umano

«Brava!», continua Luisa. «Anche per questo aveva paura».

«E perché?», si domanda Tony . «Sarebbe diventato un eroe!».

«Nella Bibbia gli eroi sono molto umani. Mosè ad esempio è timido, balbuziente…».

«Cosa vuol dire balzuppiente?». Candida, Rossella.

«Vuol dire che ba… ba… baba… balbetta». Luca quando si mette è cattivello.

«Temeva di non essere ascoltato dal popolo, che lo ricordava come figlio del faraone; temeva di non essere all’altezza del suo compito».

«E come si è convinto?», si chiede Erika.

«Dio gli avrà tirato un fulmine sulla testa!». Filippo oggi è in vena.

«No, quello era Zeus!», chiarisce Luisa tra le risate. «Dio gli ha fatto capire che aveva i doni giusti per realizzare il proprio compito. Come ogni persona».

 

Noi come Mosè

«Davvero? Anche io che sono un po’ lento?», si stupisce Gianni.

«Certo. Mica tutti devono essere atleti o dottori! A volte proprio i più piccoli cambiano il mondo. E poi, nessuno è solo. Per Mosè avrebbe parlato suo fratello Aronne».

«Anch’io ho imparato a giocare a calcio da mio fratello grande», confida Tony.

«Fratelli, amici, sconosciuti: tutti ci possono aiutare nella nostra “missione”. Dio ci starà vicino e non ci farà mancare il necessario. Come quel bastone…». Luisa lo indica e Luca coglie subito l’idea.

«È vero: io ho visto il film, e con quel bastone Mosè separerà il mare».

«Il bastone è solo uno strumento. Il prodigio lo farà la sua fede: crederà in se stesso e in Dio. E per questo sarà ricordato a lungo». Luisa si ferma guardando negli occhi ciascuno. «Abbiate fiducia e farete cose memorabili anche voi».

 

PER L’APPROFONDIMENTO

• Mosè ha ricevuto molto dalla vita: salvato dalle acque, cresciuto a corte, sente e vede Dio. Cosa facciamo noi dei doni ricevuti? Li mettiamo a disposizione della comunità?

• I prodigi di Dio passano attraverso la fiducia del suo popolo. Com’è la nostra fede? Calda, tiepida o freddina?

• Dopo aver operato con mano potente, Dio chiederà in cambio fedeltà e rivelerà a Mosè e al popolo la Legge, i Comandamenti. Come li accogliamo?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

Papa Francesco e i bambini

Perché papa Francesco rende così visibile la sua predilezione per i piccoli? Forse perché «vuole come tutelarli con il suo abbraccio e proteggerli da una generazione incapace di amarli per quello che sono», dice Paola Ricci Sindoni.

 

Un gesto che si carica quasi di sacralità

□ Ancora una volta voglio rifarmi al «Pensiero del giorno» che Rai1 fa sentire ogni mattina poco prima delle 6. Sono pensieri che spaziano più spesso su temi di attualità, ma non di rado lanciano messaggi ricchi di suggestioni estremamente positive.

□ Mi riferisco questa volta all’intervento di Paola Ricci Sindoni, professore di Filosofia, a proposito di papa Francesco e i bambini. Ha detto: «È straordinario vedere come papa Francesco s’illumini quando accarezza e bacia un bambino». È un gesto, dice, che «si carica di sacralità, quasi un omaggio a questa categoria di persone che subisce nella nostra contraddittoria società il trattamento più disparato».

 

Idolatrati, ma anche abbandonati e sfruttati

□ E passa in rassegna, forte della sua competenza e professionalità, le situazioni in cui i ragazzi d’oggi vengono a trovarsi: «I bambini», afferma, «sono infatti idolatrati nella fascia medio alta della popolazione; diventano i padroni capricciosi e violenti di due genitori che hanno smarrito il loro ruolo educativo; sono al contrario sfruttati e violentati in altre zone del pianeta, qualche volta abusati da coloro i quali dovrebbero accudirli».

 

Lo sguardo del Papa

□ Papa Francesco probabilmente «vede in loro tutti questi drammi insieme», continua Paola Ricci Sindoni, «per questo si prende cura di loro. Per questo vuole come tutelarli con il suo abbraccio e proteggerli da una generazione incapace di amarli per quello che sono». Perché i bambini sono delle piccole creature che hanno bisogno di tutto e di tutti, «soprattutto di amore di rispetto».

 

Riflessioni importanti per il nostro tempo

□ Queste osservazioni ci inducono ad accompagnarci a questi bambini, in famiglia e nell’incontro catechistico, con maggior convinzione e consapevolezza. Il tempo dedicato ai piccoli è prezioso. È sempre seme gettato che porterà frutti.

□ Santi educatori come Angela Merici, Filippo Neri, Don Bosco, Leonardo Murialdo, Luigi Orione e tanti altri hanno scelto di vivere il Vangelo mettendosi al servizio dei più giovani.

 

Ogni piacevolezza possibile

□ Angela Merici supplica le sue suore educatrici a voler ricordare e a tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le ragazze affidate alle loro cure, a ricordarle ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma anche la loro condizione sociale e il temperamento. □ Cosa non difficile, precisa, se saranno avvicinate con amore. E aggiunge: «Dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poiché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia». E se a volte si deve usare qualche richiamo, precisa, dobbiamo essere mosse a questo solo dall’amore e dallo zelo.

UMBERTO DE VANNA

Non ride mai

Tante volte papa Francesco ha sottolineato l’importanza degli anziani all’interno della famiglia, anche per la loro presenza positiva sul versante educativo.

In una parrocchia di Annecy, in Francia, durante uno dei tanti incontri con le famiglie, è stato raccontato questo dialogo curioso e simpatico.

«Quand’è che uno è vecchio?», hanno chiesto alla piccola Giovanna, cinque anni. «È quando si hanno i capelli bianchi?».

«Oh, no! La nonna ha i capelli bianchi, ma non è vecchia. Lei non si stanca mai di giocare con me!».

«Si è vecchi quando si hanno le rughe?».

«Niente affatto! Il nonno di Francesco è pieno di rughe, ma ha la faccia bella come il sole».

«Si diventa vecchi quando non si può più camminare? Quando si vive in una sedia a rotelle?».

«Non è vero! Il mio fratellino non cammina e lo si porta in giro col passeggino, ma non è vecchio!».

«Tua mamma è vecchia?».

«Oh, no! La mamma è grande, non vecchia!».

«Ma tu conosci qualcuno allora che sia vecchio, molto vecchio?».

«Oh, sì. La signora Maddalena, lei sì che è vecchia, vecchia, vecchia… (la signora Maddalena è una donna di cinquant’anni, vestita con eleganza, dall’andatura vivace…)».

«Cos’è che ti fa dire che è vecchia?».

«Beh, lei… non ride mai!»

Tener duro e mantenersi fedeli

Ha commentato una psicologa: «Spinti dallo squallore ambientale, i giovani in genere hanno paura dell’avvenire (genitori separati o disoccupati, incertezza sul futuro…). Questi giovani vedono molti adulti a pezzi, e pochi che “tengono duro”. Ora i loro nonni sono persone che hanno tenuto duro. Hanno superato tante difficoltà e si sono mantenuti fedeli. È questo il motivo per cui le persone anziane godono di una certa aureola presso i giovani. Ai loro occhi l’età adulta non è un handicap. Al contrario è agli anziani che i giovani fanno le loro confidenze per essere consigliati».

Una grazia, una missione, una vocazione

Papa Francesco ricorda che quando è stato nelle Filippine, il popolo lo salutava dicendo: «Lolo Kiko», cioè «nonno Francesco». E commentava: «Il Signore ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore».

«I nonni sono importanti nella vita della famiglia», ha aggiunto. «Per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società. Il dialogo tra generazioni è un tesoro da conservare e alimentare. I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita»

«Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita!», ha detto ancora papa Francesco. «Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere a un giovane in cerca del senso della fede e della vita! Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale per i giovani. E loro lo sanno».

UMBERTO DE VANNA

La fede di Abramo

Il patriarca Abramo nell’immagine di copertina è come un anziano accompagnato da una preziosa esperienza che consegna ai più giovani.

Abramo, una vita «vissuta»

Come altre volte la catechista Luisa incuriosisce i ragazzi con la nostra copertina. «Cosa ne dite?».

«Certo che è un disegno proprio strano». Giusy rompe il ghiaccio. «C’è una mano che piove dal cielo. E quel signore sembra… sofferente».

«Sembra stia aspettando qualcosa», aggiunge Franca.

«Vi sembra giovane o vecchio?», solletica Luisa.

«Non ha i capelli bianchi, però ha tante rughe!», nota Giorgia. «Magari ha avuto una vita difficile».

Luisa deve dare qualche indizio in più. «Hai ragione. Ha fatto un lunghissimo viaggio e… quella mano dal cielo gli sta dicendo che i suoi discendenti saranno numerosi come le stelle». Elisa probabilmente ha già sentito la storia di Abramo. Ma ci vuole un’aiutino. «È A…».

«Adamo!». Luca ci ha provato.

«No. A-bra…».

«Abramo!»: questa volta è un coro.

La proposta di Dio

Tanti sanno della sua migrazione verso la Terra Promessa. Ma Luisa pensa sia bene chiedere perché è partito.

«Voleva scoprire il mondo, come quelli del Kilimangiaro». Enrica guarda spesso la tivù.

«Forse era un avventuriero», prova a dire Filippo.

«Gliel’aveva chiesto Dio. E lui ha obbedito». Giusy pare convinta. Ma Luisa corregge il tiro.

«Dio gli ha promesso una terra migliore e un popolo importante nato da lui. Ma doveva fidarsi e partire».

Subito o al tempo opportuno?

«E la promessa l’ha mantenuta?». A Tony interessano i risultati.

«Sì, ma non subito. È stato un lungo viaggio e una prova difficile. Sua moglie non riusciva a dargli un figlio. E invece, quando ormai a causa dell’età sembrava impossibile, è arrivato Isacco, il “sorriso di Dio”».

«Ma io, quando voglio una bibita, metto il soldino nella macchinetta e la prendo subito». Il ragionamento di Filippo calza a pennello.

«Nelle cose grandi della vita non è così. Prima di ricevere un dono, dobbiamo essere pronti a prendercene cura».

«Per questo mia mamma ha aspettato un anno per regalarmi Lilly, il mio cagnolino!», commenta Franca.

«E magari, prima di guidare una Ferrari sarà meglio prendere la patente!», conclude Luisa.

La saggezza del patriarca

«Lo dice sempre anche mio nonno». Sincero, Gianni.

«Abramo è il grande “nonno” dei cristiani, degli ebrei, dei musulmani. È il primo che si è fidato immensamente nell’unico Dio. E come tutti i nonni, la sua esperienza può insegnarci tanto», aggiunge Luisa. «Guardate l’immagine. Dove sta guardando Abramo?».

«In alto», rispondono tutti.

Ma Giulia va oltre. «…dove Dio con la sua mano è pronto a darci cose belle e buone».

E Luca: «Ci insegna che se ti muovi puoi arrivare lontano».

«E che, nonostante il brutto tempo, alla fine esce il sereno». Enrica regala un tocco d’ottimismo.

Luisa è soddisfatta: fede e speranza sono i doni di Abramo. Tutti ce la possono fare a costruire un futuro più bello. Con la benedizione e l’aiuto di Dio.

Nella foto

Il coraggio di partire e di affrontare la vita per qualcosa di grande e di bello.

PER L’APPROFONDIMENTO

• Quanto coraggio ci vuole per scommettere sulla fede? In quali situazioni può essere un’impresa difficile? Cosa ci insegna la Parola di Dio?

• Abramo è padre della fede di tre religioni. Siamo capaci di educarci al rispetto e al dialogo, sottolineando gli aspetti che ci uniscono piuttosto che quelli che ci dividono, sulle orme di papa Francesco?

• L’ospitalità di Abramo fu proverbiale. Evidentemente aveva provato i disagi dell’essere straniero. Ci ricordiamo delle nostre radici, davanti alle ondate migratorie oggi d’attualità?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

Catechisti e ragazzi in vacanza

Ripensando all’anno passato con i ragazzi, riprendiamo fiato, ma non dimentichiamo ciò che abbiamo vissuto con i ragazzi e approfittiamo dei mesi estivi per qualificarci.

 

L’anno catechistico sta per finire

L’anno catechistico è stato sicuramente un anno pieno. Fare catechismo è un’attività complessa, più di quanto si pensi. Ci sono di mezzo l’accompagnamento pedagogico dei ragazzi e la dinamica di gruppo, la testimonianza personale e la conoscenza di tante tecniche, strumenti e giochi per interessare i ragazzi. È necessaria un sacco di energia!

 

Ripensare a ciò che abbiamo vissuto quest’anno

Trovate un momento per fare la revisione di ciò che avete vissuto e organizzato: l’andamento degli incontri, le celebrazioni, i momenti di festa e le uscite. È andato tutto come vi aspettavate? Che cosa poteva essere pensato meglio? Che cosa era meglio tralasciare, per programmare altro? Fatelo anche cercando di conoscere ciò che ne pensano i vostri ragazzi (vedete alle pp. 14-15).

 

L’incontro di gruppo

Gli incontri con i ragazzi sono stati certamente il piatto forte della vostra esperienza catechistica. Siete soddisfatti? C’è stato equilibrio nell’organizzare quel momento, tra argomenti scelti e affrontati, momenti di silenzio, di preghiera e di dialogo? Che dire dell’accoglienza, dell’ascolto, della pazienza, della fantasia, del posto dato alla Parola di Dio? È stato tutto pensato e programmato con un occhio attento a una crescita progressiva dei ragazzi in vista di una loro buona preparazione nei confronti dell’iniziazione alla vita cristiana?

 

La vostra identità di catechista

Vi siete confrontati tra di voi catechisti? Com’è andato il rapporto con il parroco? Pensando alle vostre più belle qualità e ai vostri limiti, vi siete lasciati accompagnare da qualche lettura? Avete trovato tempo per valorizzare quanto viene proposto ogni mese da Dossier Catechista? Approfittate ora delle vacanze per orientarvi tra tutto ciò che vi può accompagnare. Man mano che avrete qualche bella intuizione, segnatevela, archiviate qualche sussidio adatto, pensate per tempo a come iniziate i primi incontri del nuovo anno.

 

Ricordatevi dei ragazzi

Infine, non dimenticate i vostri ragazzi, anche se ora qualcuno di voi può provare un senso di sollievo pensando che non ci sarà il solito incontro da organizzare. Pregate per ciascuno di loro. Se vi è possibile incontrateli alla messa festiva, trovate il modo di ricordarvi del loro compleanno o di augurargli buone vacanze e di rimanere almeno un poco collegati (servitevi del sussidio di pag. 16).

UMBERTO DE VANNA

L’annuncio della Risurrezione

La risurrezione di Cristo, evento base del cristianesimo, è affrontato dal gruppo della catechista Luisa con lo stimolo di un’originale copertina.

 

Una situazione sconvolgente

La catechista Luisa presenta i protagonisti in quei giorni unici. Gesù, che sentiva la morte vicina ma era certo della risurrezione; i discepoli, che non riuscivano a immaginare cosa volesse dire.

«Non era difficile. Come il sole, Gesù “ri-sorge”». Per Federica è ovvio!

«Sì, ma capita tutti i giorni. Gesù è ri-sorto una volta sola!», ragiona Fulvia.

«E com’è successo? Si è alzato in volo?». Anche Tony ha bisogno di immaginare.

«Non lo sappiamo. Non c’erano le telecamere… – scherza Luisa. I Vangeli dicono che alcune donne sono andate alla sua tomba, prima dell’alba».

«Anch’io vado a trovare mia nonna-bis al cimitero e dico una preghiera per lei», confida Sonia.

«Che brava! Ma pensa se, arrivata là, trovassi la lapide spostata. Saresti sconvolta. Così loro si sono spaventate! Ma i Vangeli ci parlano di angeli “in bianche vesti” che annunciano che è vivo».

 

Una materna figura angelica

Luisa tira fuori la copertina e indica Maria di Magdala e l’angelo.

«Ma… è una donna?!». Parla Gianni, ma lo stupore è di molti.

«Il pittore ha usato un po’ di fantasia. L’angelo è una creatura del mondo di Dio, puro spirito. Le sue sembianze possono essere varie. Questo portava un messaggio quasi materno: “Non abbiate paura!”.

La spiegazione di Luisa sembra convincente e Luca sposta l’attenzione su un altro particolare.

«Cos’è quella cosa che vola?»

«Sembra un lenzuolo, forse quello in cui era stato avvolto Gesù. Che ora non gli serviva più».

«Perché non è per terra?», si chiede Claudia.

«Il pittore voleva rappresentare il vento, che nella Bibbia è segno della presenza di Dio. È lui ad aver ridato la vita a Gesù».

 

Vedere per credere?

«Maria però sembra triste…», nota Veronica.

«Già, forse non è ancora convinta. Le sembra una cosa troppo strana e bella per essere vera. Per questo l’angelo la guarda negli occhi e le tende la mano: credici, sembra dirle. Ma lei vorrebbe vedere Gesù. Sarebbe più facile».

«Ma poi l’ha visto, vero?». A Giulia non sfugge nulla.

«Sì, i Vangeli raccontano che Maria di Magdala fu la prima. Poi gli apostoli, altri discepoli. San Paolo racconta che una volta lo videro 500 persone insieme. Ma lui no. Eppure ha dato la vita per Gesù. Credeva in Dio, credeva nelle parole di Gesù, credeva nella testimonianza degli altri».

 

La fede nel Paradiso

«A me sembra impossibile. Un morto è morto. Finito. Game over». Filippo è sincero.

«Io invece penso non sia così», confida Erika.

«La maestra di religione dice che siamo come bruchi che in Paradiso diventeranno farfalle. Mi piace!». È il parere di Gianni.

«La vita è un grande dono. Ci divertiamo, impariamo, lavoriamo, amiamo… ma qualche volta fatichiamo, sbagliamo, soffriamo. A un certo punto il nostro corpo dice stop. Non ce la fa più. Come per Gesù, anche per noi Dio ha in serbo qualcos’altro. Una vita nuova, di una bellezza che non possiamo immaginare».

«Sarà così anche per mia nonna bis?», chiede Sonia speranzosa.

«Se ha avuto fede e amore, Dio l’ha accolta e trasformata nel modo più bello che lui conosce. E ora, sono certa, dal Paradiso è lei a pregare per te».

 

PER L’APPROFONDIMENTO

• Gli angeli nella Bibbia sono i messaggeri di Dio. Quanto tempo e considerazione dedichiamo alle sue parole, nella vita quotidiana?

• La speranza è la virtù «per la quale desideriamo il regno dei cieli e la vita eterna come nostra felicità» (CCC 1817). Pensiamo mai alla meta del Paradiso? Abbiamo fiducia nella risurrezione? Ci impegniamo per costruire il Regno di Dio?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

 

Nella foto: Una vita nuova, di grande bellezza, è possibile.

Un’alleanza educativa

Nel contesto del Sinodo sulla famiglia, ci chiediamo come rendere le famiglie più consapevoli del loro ruolo educativo e come coinvolgerli anche nei progetti di iniziazione cristiana dei figli.

Condizioni poco favorevoli

□ Mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, ha scritto a tutte le famiglie della diocesi. Si domanda: «È possibile oggi proporre a una famiglia di assumersi tante responsabilità educative?». «Non è facile», risponde. Soprattutto «se pensiamo alle fatiche che tante famiglie sostengono per sopravvivere alle difficili condizioni del momento, sia sul piano economico che sociale». E precisa che oggi in particolare molte famiglie vivono situazioni di divisione al proprio interno e difficoltà sul piano religioso e morale. «Credo tuttavia che in ogni famiglia non manchi la consapevolezza della propria responsabilità educativa, sostenuta anche dagli anziani, che oggi svolgono un compito molto importante e spesso decisivo».

□ La famiglia tuttavia, auspica mons. Nosiglia, non deve trovarsi sola nell’affrontare tutti questi problemi, ma sentire forte il sostegno sia da parte della Chiesa che della società.

Ritorno all’oratorio

□ Prosegue l’arcivescovo: «In diverse parrocchie si sta tornando a valorizzare l’oratorio, anche se ampiamente rinnovato e con forme e modalità aperte a proposte diversificate». E si domanda: «È possibile oggi ripensarlo per farne un luogo di incontro e di amicizia, ricco di iniziative interessanti per i valori che offre e aperto a chiunque − piccoli, ragazzi e giovani – desideri di partecipare?». «Credo di sì», risponde, «se gli adulti per primi sanno farsene carico offrendo la propria presenza, competenza e supporto organizzativo».

□ Ma per realizzare questa bella esperienza occorre raggiungere un buon livello di collaborazione tra tutti, superando l’abitudine di andare in ordine sparso: «L’amore ai ragazzi, ai giovani e al loro futuro è troppo importante per non cercare vie di collaborazione, superando chiusure di parte e cooperando insieme per raggiungere lo stesso traguardo».

I 200 anni di Don Bosco

□ In questo contesto mons. Nosiglia si richiama al giubileo dei 200 anni della nascita di san Giovanni Bosco, che abbiamo celebrato il 16 agosto 2015. E dice: «Don Bosco è stato un grande educatore dei ragazzi e giovani e rappresenta ancora oggi un modello esemplare di quel metodo preventivo con cui ha promosso tutta la sua azione educativa. Egli diceva che “educare è una questione di cuore” e quindi uno scambio di amore tra adulti e giovani, in primo luogo proprio in famiglia, dove si impara ad amarsi giorno per giorno con pazienza, responsabilità e speranza».

□ Infine mons. Nosiglia invita genitori ed educatori a porsi sempre queste due domande: «Signore che cosa vuoi che io faccia? Che cosa vuoi da me genitore ed educatore per rispondere al disegno che hai su questo figlio, alunno, amico? Cosa devo fare, o non fare, per accogliere il tuo volere che corrisponde al suo vero bene?».

UMBERTO DE VANNA

Quella fuga in Egitto

La sofferenza familiare di un ragazzo del gruppo suggerisce di trattare il complesso tema del dolore, condiviso dallo stesso bambino Gesù. La nostra copertina viene in aiuto alla catechista Luisa.

Piccoli grandi disagi

Francesca e Chiara oggi attendono Luisa preoccupate. Le raccontano del fratellino di Raffaella, che è stato ricoverato in ospedale. Luisa è dispiaciuta, cerca di consolarle, ma si accorge che le sue parole non bastano a sconfiggere la loro tristezza, che nel frattempo si dilata a macchia d’olio nel gruppo. Luisa non si scoraggia e si affida all’immagine di copertina.

«Che effetto vi fa?», chiede.

«È triste. Non sembra un bel momento», risponde Chiara.

«Ma che razza di strada devono fare? Tra le rocce? Senza attrezzatura?», nota Tony, che va spesso col papà in montagna.

«La donna sta tenendo un bambino piccolo, in fasce. Poverino». Elisa è molto sensibile.

«Ma allora saranno Maria e Giuseppe. È la fuga in Egitto!». E brava Francy!

«Non potevano stare a casa loro?». La domanda di Alex non è così stupida. Meglio spiegare.

Senza nessuna colpa

«Vi ricordate che Gesù è nato a Betlemme, a circa 150 km dalla casa di Giuseppe e di Maria, a Nazareth? Ma il re Erode aveva sentito dire che un neonato sarebbe diventato il nuovo re e, non avendolo trovato, ha fatto uccidere tanti bambini innocenti».

«Ma non è giusto. Non glielo potevano impedire?», riflette Giulia.

«Lui aveva il potere di vita e di morte. È brutto, ma è la realtà».

«Fuiii… Meno male che oggi non è così», sospira Luca.

«Già. Noi siamo molto fortunati, anche rispetto ad altre parti del mondo…». Luisa allarga gli orizzonti.

Dio è con noi

«E come hanno fatto a salvarsi?», chiede Gianni.

«Il Vangelo ci dice che Giuseppe ha fatto un sogno. Era la voce di Dio che gli suggeriva di partire».

«Io non ho mai sognato Dio», confessa Francesca.

«Nella Bibbia, Dio parla attraverso i profeti, ma anche dentro alle persone. Come quando abbiamo un’intuizione, e poi scopriamo che era proprio giusta. “Mi sa che oggi la maestra m’interroga…”, penso. E se ho studiato, sono pronta. Come fu pronto il papà di Gesù!».

«Ma in Egitto avevano dei parenti? Degli amici?». Filippo si preoccupa!

«Probabilmente no. Contavano su di sé e sulla loro fede. E sul mestiere di Giuseppe, che era un buon artigiano. Ed erano convinti che Dio non li avrebbe abbandonati».

«Come facevano con i bagagli? Glieli spedivano?». Alex è un pratico.

«Quelle due sacche erano tutto ciò che avevano», dice Luisa, e lascia tutti senza parole.

Insieme per sperare

«Capite perché lo sguardo Giuseppe è corrucciato? Sarà dura prendersi cura del bimbo e della sua sposa. Eppure Maria sembra riposare, nonostante le scomodità. Ha accettato la vita così com’è. Il dolore passerà, perché Dio è con loro e quel Figlio sarà un tesoro per l’umanità».

«Un tesoro, però anche uno sf…ortunato!». Filippo è diretto, ma ha ragione.

«Certo. Per questo ora può capirci, nelle sofferenze e nelle fatiche. E ci dice: “Coraggio, ci sono tempi duri, ma non saranno eterni”».

«E se hai la famiglia attorno, hai tutto», conclude Luca. Già. Non siamo mai soli ad affrontare il dolore. E lì sta la nostra speranza.

 

PER L’APPROFONDIMENTO

• La vita di Gesù, dalla nascita alla croce, non è sempre stata facile. Su quali rocce ha costruito la sua speranza? Chi lo ha aiutato a superare disagi e fatiche?

• «È il modo in cui affronti il dolore a fare di te un grande». Siete d’accordo? Trovate degli esempi di chi non si è scoraggiato nonostante una grave perdita.

• Chi sono i fuggitivi di oggi, costretti a migrare in un paese straniero? È giusto aiutarli? Cosa farebbe Gesù?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO