Sussidi per approfondire n° 2 20/21

Un creato che viene da Dio

Catechismo dei bambini:
  • Il creatore del cielo e della terra, pp. 72- 73
  • San Francesco pp. 132-133
Cartoni:
Una canzoncina:

Le domande dei catechisti

Suor Carmela Busia

Ho ancora qualcosa da dare?

preteen boy in protection mask on the highway city background

Dopo questo lungo periodo di lontananza dai ragazzi mi ha preso la paura. Cosa posso fare per loro? Sarò capace di offrire qualcosa di significativo? O trasmetterò le mie paure e le mie ansie? Mi sento inadeguata…

Carissima catechista, non è strano sentire paura e ansia e un certo senso di inadeguatezza di fronte alle nuove sfide che il dopo-pandemia ci propone. Ma occorre reagire per aiutare i ragazzi e le ragazze che incontreremo a rileggere questo periodo e renderlo Storia di Salvezza.
Per questo proviamo a sottolineare alcune parole-simbolo che dovranno caratterizzare il nostro compito di accompagnatori nella fede.
Fragilità
Alcune parole che rischiavamo di perdere dal nostro vocabolario con i ragazzi si sono presentate con forza: ci si ammala e si muore. Il mondo, la pubblicità, i social oscurano da sempre queste verità. I ragazzi si sono trovati di fronte ad uno “spaesamento e uno sconcerto” iniziale che li ha portati a farsi domande sul senso della vita. Alcuni si sono potuti confrontare con i genitori, altri invece hanno vissuto la solitudine. Come educatori dobbiamo raccogliere la sfida a riconoscerci fragili e accompagnare i ragazzi nel rileggere questo vissuto.
Gratitudine
I ragazzi in questo tempo hanno imparato il valore delle piccole cose, ad apprezzare maggiormente ciò che avevano. Per alcuni di loro è stata un’occasione per riscoprire piccoli gesti a portata di mano, dallo spendere più tempo per parlare con i genitori, al giocare con i fratelli, all’aiutare in alcuni lavoretti a casa, al poter cucinare con i genitori. Come educatori siamo chiamati a far crescere un senso di gratitudine nella nostra vita e in quella dei ragazzi.
Tempo
I ragazzi si sono ritrovati con molto tempo da impegnare in maniera diversa da come erano abituati. Molti hanno vissuto il rischio di “perdere tempo”, altri si sono ritrovati a rendersi conto di dover mettere in campo risorse che non credevano di avere. Si sono sperimentati nella gestione diversa del tempo in autonomia. Un tempo che ha permesso loro, quando si sono lasciati guidare da adulti, di farsi domande rispetto a Dio: “Dio dove sei?” e ad alzare a Dio preghiere semplici di vicinanza. Come educatori vogliamo continuare a scoprire noi per primi la presenza di Dio in questo tempo e ad aiutare i ragazzi a credere in un Dio che ama l’umanità.
Relazioni
Quasi la totalità delle relazioni è passata da un monitor. I ragazzi stessi hanno però sperimentato che questo non basta. Noi siamo il nostro corpo, le nostre relazioni. “Mi manca la scuola, mi manca riabbracciare le mie amiche, vorrei rivedere i miei nonni e stare con loro” sono affermazioni che dicono che i social sono strumenti ma non possono essere l’estensione della nostra persona. Come educatori possiamo accompagnare i ragazzi nel continuare a scoprire che non siamo virtuali ma siamo un corpo e abbiamo bisogno di relazioni.

Ma la messa è davvero la cosa più importante?

Ma la messa è davvero la cosa più importante?

Come mai durante la quarantena le messe sono state sospese?
Allora non è vero che la messa è la cosa più importante di tutte: prima viene la salute.

L’obiezione è plausibile: la sospensione delle celebrazioni durante l’emergenza sanitaria può aver dato l’impressione che la salute, quella fisica, sia più importante della salute spirituale, della salvezza dell’anima, e che i valori religiosi possano in qualche occasione essere messi da parte.
C’è un episodio molto conosciuto, raccontato dai tre evangelisti sinottici, che può fare al caso nostro.
Gli evangelisti stanno raccontando di una serie di discussioni che Gesù ha con i suoi oppositori, quando si avvicina uno scriba, o un maestro della legge, insomma un esperto, uno di quelli che le cose le sanno (anche perché all’epoca non erano molti a saper leggere e scrivere). Si avvicina a Gesù e gli chiede: «Maestro, nella Legge, qual è il più grande comandamento?». Forse voleva metterlo in difficoltà, o forse era sincero e si stava interrogando sulle cose importanti (un po’ come fate voi ragazzi). Gesù lo prende sul serio e gli dice: «Vedi, il comandamento più importante,
che riassume tutte le Sacre Scritture («la Legge e i Profeti») non è uno soltanto, ma sono due. Sono come due gemelli, di quelli che fai fatica a distinguere chi è l’uno e chi è l’altro. Il primo comandamento dice “Amerai il Signore tuo Dio sopra ogni cosa, con tutte il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”».
E san Marco annota anche la risposta del suo intervistatore, che dà ragione a Gesù e conclude dicendo: «Questo vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».
Gli olocausti e i sacrifici erano le “messe” del tempo, e qualcuno pensava che fossero la cosa più importante. Ma per Gesù non c’è nulla di più importante dell’amore che cerca il bene dell’altro ed è disposto a rinunciare a tutto per dimostrarlo. Ai suoi apostoli nell’ultima cena ha detto: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici».
E noi, durante la pandemia abbiamo fatto proprio così: abbiamo rinunciato a quanto di più importante avessimo, per dimostrare il nostro amore per gli altri, la nostra preoccupazione per la salute altrui, il nostro desiderio di collaborare per la salvezza di tutti.
Ecco il vero culto, il vero sacrificio gradito a Dio, il più grande comandamento. E se anche abbiamo dovuto rinunciare ad andare a messa, non abbiamo rinunciato a Dio, non lo abbiamo
messo al secondo posto, ma al primo, perché abbiamo detto: «Io starò bene solo se stanno bene gli altri», cioè abbiamo amato i nostri fratelli come fossimo noi stessi, obbedendo a quel comando che Gesù ci ha lasciato: «Tutto quello che avrete fatto al più piccolo dei miei fratelli, lo avrete fatto a me».

#IoRestoACasa #LaFedeNonSiFerma

Carissimo parroco,

Gentile catechista abbonata/o a Dossier Catechista,

eccoci arrivati alla Settimana Santa, culmine della vita spirituale e liturgica del cristiano, al termine di un tempo di Quaresima vissuto in un clima di quarantena collettiva e con l’impossibilità per i fedeli di partecipare alle celebrazioni del Triduo Pasquale.

Anche la nostra rivista, parte della casa editrice Elledici, per adempiere alla richiesta “Io resto a casa” e in ossequio alle norme emanate, ha momentaneamente chiuso i propri uffici, modificato il normale svolgimento dell’attività editoriale e le modalità tradizionali di lavoro al fine di salvaguardare la salute di dipendenti e collaboratori e ha ridotto gli spostamenti nella speranza che questi piccoli gesti possano contribuire ad una soluzione più rapida della situazione che si sta vivendo.

Abbiamo cercato di non interrompere il costante rapporto con gli abbonati, soprattutto in un tempo liturgico centrale come quello della Quaresima e della Pasqua, continuando la pubblicazione dei Vangeli domenicali a vignette e suggerendo altri spunti sul sito www.dossiercatechista.org che è stato completamente rinnovato e ampliato come pure sulla pagina Facebook Dossier Catechista, che rappresenta un filo diretto con moltissimi operatori della catechesi.

Nello stesso spirito, dato che il numero di maggio corre il rischio di non arrivare con il consueto anticipo (verrà spedito la settimana dopo Pasqua), abbiamo pensato di mettere gratuitamente a disposizione di tutti l’intero numero in formato .pdf, visionabile cliccando qui o scaricabile a questo indirizzo.

Vi ricordiamo anche che questo è l’ultimo numero dell’annata e di procedere senza indugio a rinnovare l’abbonamento per continuare questo proficuo dialogo per il bene dei nostri bambini e delle loro famiglie.

In ogni caso, non siamo fermi. In fedeltà allo spirito delle origini, la Casa Editrice di don Bosco e la redazione di Dossier Catechista stanno impiegando il tempo per re-immaginare nuovi spazi di animazione culturale, pastorale e catechistica per non far mancare oggi e domani, come in passato, la loro presenza al fianco di chi ricerca strumenti validi e all’avanguardia. Passata l’emergenza saremo, come in questi ultimi 80 anni, sempre presenti al Vostro fianco.

A tutte/i Voi giungano i nostri migliori auguri di Santa Pasqua: che il Cristo Risorto ci dia consolazione e forza per affrontare la situazione attuale e le nuove sfide che il mondo ci porrà nei prossimi tempi.

Don Valter,
la redazione di Dossier Catechista
e tutto lo staff Elledici – L’editrice nel segno di don Bosco

Guardate a Lui

I simboli dell’umiliazione e della morte diventano inni alla salvezza e alla gloria. Aiutiamo i nostri ragazzi ad entrare nel grande mistero della Pasqua, guardando alla croce che attira tutti a sé, per far rifiorire la vita e la speranza.

Il serpente innalzato nel deserto

Quando Mosè innalzò il serpente nel deserto, fece un gesto sconvolgente e scandaloso. Era il dio Apopi degli egizi, “Nemico di Ra”, e “Signore del Caos”, incarnazione di tutto ciò che è male? Lui che cercava ogni giorno di impedire al dio Sole di sorgere minacciandolo durante il suo viaggio notturno attraverso l’aldilà? Era lui che stava uccidendo tutti ed ora veniva innalzato!?

Quando sarò innalzato…

Cosa avrà pensato Nicodemo in quel colloquio notturno quando Gesù parlava di essere innalzato da terra? Gesù lo aveva già detto, quando alcuni Greci avevano avvicinato Filippo e gli avevano chiesto: «Signore, vogliamo vedere Gesù». E lui aveva parlato di morire per dare molto frutto, di perdere la propria vita per conservarla per l’eternità e di seguirlo nella lotta contro “il principe di questo mondo”.

A noi catechisti viene subito voglia di spiegare, è tutto molto semplice e chiaro: «Gesù lo sapeva, è morto, ma poi è risorto, era necessario, è un passaggio…».

Ma la notte resta notte e il coraggio di guardare in faccia quel serpente che sembra vittorioso non è scontato. È più facile girare lo sguardo, scappare, fare finta di nulla. Lo fanno i nostri ragazzi, lo fanno i genitori, lo facciamo anche noi, a volte, riempiendo il vuoto di belle parole.

…attirerò tutti a me

Non siamo noi a fare. È lui che attira tutti a sé. È lui il fiore che sboccia sui rami secchi in primavera e noi non sappiamo come, e noi non possiamo anticipare nulla. Ci svegliamo, un mattino, e tutto è fiorito, la primavera è tornata.

Seguiamo uno morto in croce, ma siamo certi: fiorirà di vita nuova.
Buona Pasqua di Risurrezione!

Rossi Valter

Editoriale di marzo

Acqua viva dalla roccia

Con Mosè sgorga acqua viva dalla roccia. Alle sorgenti della vita attingiamo l’acqua per la sete di chi cammina per scoprire la via di Gesù.

Un itinerario nel deserto con Mosè

L’itinerario quaresimale dell’anno A ci chiama a vivere e rivivere la realtà misterica della nostra iniziazione cristiana. Le cinque domeniche ripropongono le tematiche che nella tradizione antica costituivano il quadro di riferimento dell’ultima fase del catecumenato.
Nel deserto, il cammino del popolo ebreo che, condotto da Mosè, passa dalla schiavitù dell’Egitto al servizio di Dio, viene dissetato dall’acqua che scaturisce dalla roccia. Nella nostra copertina, quell’acqua continua a sgorgare e ci segna non solo nel battesimo, ma in ogni momento della nostra vita.

In cammino per scoprire

Anche noi viviamo questo itinerario catecumenale, lo proponiamo, aiutiamo a viverlo. Anche noi siamo chiamati a rinunciare al male per intraprendere con la forza della Parola il cammino quaresimale, prendendo coscienza del peccato dal quale Cristo, con la sua Pasqua, ci ha liberati.
Come Abramo siamo chiamati a metterci in cammino per entrare nella gloria sfolgorante del Regno, sul suo monte di luce.
Con Mosè e con la Samaritana, noi percorriamo le loro stesse tappe, per ridestare il desiderio dell’acqua viva della grazia che scaturisce da Cristo, per professare con forza la fede, e annunziare con gioia l’amore di Dio.
Accanto al cieco nato chiediamo che i nostri occhi siano aperti per vedere Gesù Cristo, colui che ha illuminato il mondo, e credere in lui solo.
Anche noi, insieme a Lazzaro, siamo invitati ad uscire fuori dalle nostre tombe per essere risvegliati dallo Spirito e richiamati alla vita.

Acqua viva

Non una Quaresima di mortificazioni, ma di vivificazioni, di azioni che donano vita, perché attingono all’acqua viva che è cristo.
A voi le nostre riflessioni e proposte, che hanno come tema centrale la Riconciliazione e l’espressione semplice e profonda del dolore dei nostri peccati e del bisogni di aggrapparsi solo a chi può saziare la nostra sete infinita di amore.

Rossi Valter

Mio marito non crede a nulla!

Le domande dei genitori,

Gianni Torrisi

 

«Ho paura che le nostre discussioni in famiglia sulla religione confondano mio figlio…». La mancanza di fede di mio marito è per me causa di molta sofferenza: com’è possibile che uno non creda in niente? E come posso mantenere un clima sereno in famiglia?

Una domanda pesante

In questa domanda si sente, prima ancora del problema del figlio, la sofferenza e la delusione di anni. Questa mamma e moglie dice che il marito non crede in niente. Sarebbe interessante sapere se le cose sono state sempre così o se nel tempo siano cambiate. Ne avranno parlato nel tempo del fidanzamento, prima di sposarsi? O negli anni la fede della moglie è cresciuta, ed è scomparsa quella del marito? È certo comunque che le esperienze di vita dei genitori pesano sull’educazione alla fede dei figli. E purtroppo non è facile trovare un accordo su temi così “sensibili”.

Come si può vivere senza credere?

Tutta la vita si fonda sulla fiducia. Come potremmo entrare in una casa, senza credere che i costruttori hanno lavorato a regola d’arte? O passare sopra un ponte, andare al ristorante o dal verduriere senza che ci sia un clima di fiducia? Come instaurare relazioni significative senza fidarsi di qualcuno e credere nell’amicizia?

Siamo tutti obbligati a dare fiducia agli altri. Per assurdo, ci si deve fidare anche di chi non conosciamo bene. Lo fa certamente anche il marito di questa mamma preoccupata: anche lui deve fidarsi di qualcuno, di qualcosa.

Un percorso per progredire nel dialogo

Qualcuno dice di non credere a ciò che non vede. Però, quello che non vedo perché magari è si trova dall’altra parte del pianeta (ad esempio il sole quando da noi è notte) continua ad esistere!

La fede cristiana ci propone un mondo che esiste grazie a Dio. Chi crede in Dio ne afferma l’esistenza, accoglie la sua parola, la sua amicizia, crede che Dio parla al nostro cuore attraverso il suo Spirito d’amore. Non esistono prove che Dio non esista, ed è una cosa intelligente credere in Lui. Ma dobbiamo anche ammettere che può avere un senso avere dei dubbi e mettersi in ricerca per avere prove più convincenti.

Dibattiti o discussioni

Se le discussioni che si fanno in famiglia, e che il figlio ascolta, avvengono nel rispetto reciproco e sereno, in uno scambio sincero tra chi la pensa in un modo e chi ha un’opinione diversa e motivata, allora questo discutere può essere molto positivo, e può far crescere sia il marito che la moglie, e certamente non recherà danni al figlio, anzi può apprezzare che si discuta su argomenti così seri, di cui si parla magari a catechismo. Questo discutere su argomenti spirituali susciteranno anche in lui delle domande. Si metteranno in gioco la sua intelligenza e il suo impegno, pur nella differenza di opinione dei genitori. Le differenze non escludono il dialogo, anzi, possono favorire la ricerca e la crescita personale. Ma a certe condizioni.

Se infatti queste discussioni sono fatte male, bloccano il dialogo, caricano l’ambiente famigliare di tensione, separano e diventano fonte di litigi. Se non si è disposti a farlo in serenità, lo si deve fare quando il figlio non è presente. Come si può costringere un bambino a dover scegliere tra ciò che dice il papà e ciò che dice la mamma, cioè tra quelli che ama? O che cresca in modo positivo assistendo a discussioni in cui uno dei due viene trattato con disprezzo o è costretto al silenzio?

Ricordiamolo: agli occhi di un bambino l’annuncio cristiano – Dio è amore – è testimoniato anzitutto dall’amore reciproco dei genitori, non con le parole, ma con i fatti.

Foto

Alla presenza di un figlio piccolo, o si discute serenamente, nel rispetto reciproco, o è meglio farlo quando lui non c’è.

Trattare con gentilezza

È interessantissimo ripercorrere l’etimologia della parola gentile/gentilezza per scoprire la forza ecumenica dell’ospitalità.

Per il popolo dell’Alleanza gentili erano tutti gli altri popoli, le altre genti, chi non era come loro.
Per i Romani, invece, il termine faceva riferimento alla gens, formazione famigliare allargata – da gignere generare – cioè i generati da un medesimo mitico capostipite.
Era una formazione sociale sovra-familiare patrizia – una specie di famiglia nobile allargata, un clan a cui appartenevano molte famiglie.
L’essere “gentili” implicava un comportamento più fraterno rispetto a quello tenuto con estranei di altre gentes, anche se magari, vista l’ampiezza di queste gentes, i gentili fra loro non si conoscevano nemmeno.

L’oggi della gentilezza

Sono scomparse le gentes, ma per esprimere la qualità più pura di rispetto e cura benevola, la più semplice e genuina forma di accoglienza, continuiamo a rifarci proprio a quei rapporti interni che nascono dalla consapevolezza di far parte di un’unica, grande famiglia, consci della nobiltà che l’essere gentili richiede.
«Così dunque voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e dei profeti, avendo come pietra d’angolo lo stesso Cristo Gesù», arriverà a dire san Paolo agli abitanti di Efeso, la città più multiculturale di tutte, un vero “porto di mare”.

La settimana di preghiera per l’unità

In questo gennaio celebriamo la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, ispirato all’accoglienza generosa sull’isola di Malta dopo un terribile naufragio. «Ci trattarono con gentilezza», afferma l’apostolo, esaltando la virtù ecumenica dell’ospitalità.
A questo evento abbiamo dedicato la copertina, che raffigura il salvataggio di Paolo, i naufraghi di oggi – ma su quel gommone ci siamo anche noi – e le molte genti che in Cristo possono trovare un’ancora sicura e la salvezza.
Preghiamo perché non passi invano questo momento di grazia.

Rossi Valter

Il Dio della gioia

La gioia, la festa, la danza, il canto, l’entusiasmo sono componenti essenziali della vita cristiana e non possono proprio mancare nei nostri percorsi di catechesi.

Davide danza davanti all’Arca

Nella Bibbia ci sono danze molto famose: C’è la profetessa Miriam, sorella d’Aronne, esterna la sua esultanza e ringrazia Dio, dopo il passaggio del Mar Rosso, formando cori di danze con le altre donne, suonando i timpani e cantando (Es 15,20).
E c’è la danza del re Davide in occasione del trasferimento dell’Arca a Gerusalemme. L’autore sacro usa le parole: “gioia” e “con tutte le forze”, rimarcando il coinvolgimento totale della persona nel movimento ritmico della danza. Danzando e saltellando, Davide manifesta con tutto il suo essere la gioia incontenibile che prova. Mikal, la figli di Saul si scandalizza di quella danza “sconveniente”, ma Davide chiarirà: «L’ho fatto dinanzi al Signore, (…) ho fatto festa davanti al Signore» (2Sam 6,21).

Il santo Carnevale

Febbraio deriva da una parola latina che significa purificare, e nell’antico calendario romano era il mese delle purificazioni che precedeva marzo, considerato il primo mese dell’anno.
Tutto cambiato, dato che questo mese così corto è quello più dedicato al divertimento, alle maschere, al carnevale in cui ogni scherzo vale, e che persino la quaresima viene sovente mangiata da feste, sfilate, dolci e bagordi.
Ma non possiamo fare come Mikal che «guardò dalla finestra; vedendo il re Davide che saltava e danzava dinanzi al Signore, e lo disprezzò in cuor suo» (2Sam 6,16).
Non dobbiamo aver paura dei momenti di festa, di gioia, di ballo, di canto, di gioco. Sono momenti di vita importanti che non possono mancare nelle nostre parrocchie, nei nostri oratori (beato chi ne ha uno attivo e prospero), nelle nostre proposte.

Momenti di festa

Ecco perché abbiamo dedicato la copertina alla festa e un approfondimento importante al connubio proficuo tra oratorio e catechesi, nella speranza che ogni ragazzo che avviciniamo possa cantare con gioia: «Il mio Dio è il Dio della festa, della gioia e dell’amor». Auguro tanta gioia a voi, catechiste e catechisti, affinché diffondiate questo dono in ogni momento della vostra missione!

Rossi Valter