Le domande dei catechisti

Suor Carmela Busia

Ho ancora qualcosa da dare?

preteen boy in protection mask on the highway city background

Dopo questo lungo periodo di lontananza dai ragazzi mi ha preso la paura. Cosa posso fare per loro? Sarò capace di offrire qualcosa di significativo? O trasmetterò le mie paure e le mie ansie? Mi sento inadeguata…

Carissima catechista, non è strano sentire paura e ansia e un certo senso di inadeguatezza di fronte alle nuove sfide che il dopo-pandemia ci propone. Ma occorre reagire per aiutare i ragazzi e le ragazze che incontreremo a rileggere questo periodo e renderlo Storia di Salvezza.
Per questo proviamo a sottolineare alcune parole-simbolo che dovranno caratterizzare il nostro compito di accompagnatori nella fede.
Fragilità
Alcune parole che rischiavamo di perdere dal nostro vocabolario con i ragazzi si sono presentate con forza: ci si ammala e si muore. Il mondo, la pubblicità, i social oscurano da sempre queste verità. I ragazzi si sono trovati di fronte ad uno “spaesamento e uno sconcerto” iniziale che li ha portati a farsi domande sul senso della vita. Alcuni si sono potuti confrontare con i genitori, altri invece hanno vissuto la solitudine. Come educatori dobbiamo raccogliere la sfida a riconoscerci fragili e accompagnare i ragazzi nel rileggere questo vissuto.
Gratitudine
I ragazzi in questo tempo hanno imparato il valore delle piccole cose, ad apprezzare maggiormente ciò che avevano. Per alcuni di loro è stata un’occasione per riscoprire piccoli gesti a portata di mano, dallo spendere più tempo per parlare con i genitori, al giocare con i fratelli, all’aiutare in alcuni lavoretti a casa, al poter cucinare con i genitori. Come educatori siamo chiamati a far crescere un senso di gratitudine nella nostra vita e in quella dei ragazzi.
Tempo
I ragazzi si sono ritrovati con molto tempo da impegnare in maniera diversa da come erano abituati. Molti hanno vissuto il rischio di “perdere tempo”, altri si sono ritrovati a rendersi conto di dover mettere in campo risorse che non credevano di avere. Si sono sperimentati nella gestione diversa del tempo in autonomia. Un tempo che ha permesso loro, quando si sono lasciati guidare da adulti, di farsi domande rispetto a Dio: “Dio dove sei?” e ad alzare a Dio preghiere semplici di vicinanza. Come educatori vogliamo continuare a scoprire noi per primi la presenza di Dio in questo tempo e ad aiutare i ragazzi a credere in un Dio che ama l’umanità.
Relazioni
Quasi la totalità delle relazioni è passata da un monitor. I ragazzi stessi hanno però sperimentato che questo non basta. Noi siamo il nostro corpo, le nostre relazioni. “Mi manca la scuola, mi manca riabbracciare le mie amiche, vorrei rivedere i miei nonni e stare con loro” sono affermazioni che dicono che i social sono strumenti ma non possono essere l’estensione della nostra persona. Come educatori possiamo accompagnare i ragazzi nel continuare a scoprire che non siamo virtuali ma siamo un corpo e abbiamo bisogno di relazioni.