La prima volta di Gesù al Tempio

La catechista Luisa alla presa con il suo gruppo di ragazzi. Si parla di un Gesù della loro stessa età e sembrerebbe facile affrontare questo argomento. Ma non è detto che sia così…

Un quadro d’altri tempi

«Che ci fa un bambino dagli occhi azzurri in un mercato arabo?», esordisce Tony, che è già stato in Terrasanta. E Filippo: «Quello al centro assomiglia a Terence Hill, ma da giovane!». Risata generale.

Enrica, visto il contesto, immagina sia una scena della Bibbia. Ma non le dice nulla una famiglia che compra… «Cosa? Dei dischi di… pane?». Ci vuole proprio un aiutino. «Non siamo al mercato, ma dentro al Tempio di Gerusalemme», chiarisce Luisa.

«Ah…» ─ ad Aurora si accende la lampadina – «Allora quel bambino è Gesù!». Vero.

«E quei due sono Maria e Giuseppe», aggiunge Margherita.

«E Terence Hill è il panettiere», conclude Filippo.

Vuole conoscere qualcosa di più su Dio

«Vi ricordate cos’è successo a Gesù?», insiste Luisa.

«Sì, si è perso». I ricordi di Andrea sono un po’ confusi. «No, l’ha fatto apposta», lo corregge Veronica. «Mi sa che l’ha fatta grossa. Si vede che ha la faccia da furbetto», nota Enrica.

Luisa raccoglie le idee: Gesù si è fermato nel Tempio. Ma perché?

«Lui che era super intelligente, voleva interrogarli tutti». Beppe ne è convinto.

«Sì, il Vangelo dice che si è fermato a parlare con i maestri. Voleva sapere di più sulla sua religione. E faceva domande molto intelligenti». Luisa fa capire che Beppe non ha tutti i torti. «Però i suoi genitori erano molto preoccupati, visto che lo cercavano da tre giorni».

Genitori, che fatica!

«Se capitasse a me, mia madre morirebbe d’infarto», commenta Antonella.

«E la mia non mi lascerebbe più uscire per un anno!», aggiunge Tony.

«Però un po’ è stata colpa loro», giustifica Enrica. «Non si sono accorti di averlo perso di vista?».

Luisa spiega che all’epoca quell’età coincideva con la maggiore età; gli abitanti di Nazaret erano a Gerusalemme per la Pasqua, e Gesù poteva stare con loro o coi parenti. Stupisce di più la giustificazione di Gesù: «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Una frase che i suoi genitori non capiscono.

«Neanche noi. Suo papà era lì davanti!», commenta Luca.

Dio al primo posto

«Forse sta parlando di Dio…». Veronica ha colto nel segno.

«Allora è questo il significato del racconto: Gesù, già a dodici anni, ha le idee chiare. Dio sarà sempre più importante di tutto», sintetizza Luisa.

«Anche dei suoi genitori?», si stupisce Antonella.

«Sì. E non sarà facile, anche per loro. Il Vangelo ci dice che Maria ha dovuto meditare a lungo per capirlo. Ma è normale: un giorno i genitori ci lasceranno liberi di trovare la nostra strada».

«A me qualche volta le loro idee stanno già strette», riflette Tony.

«I genitori sono il dono di Dio più grande e più bello per aprirci alla vita. Sarà sempre importante ascoltarli. Ma saranno orgogliosi di noi quando sapremo camminare da soli, verso le mete che abbiamo scelto, magari proprio sul loro esempio. Se Gesù ha scelto Dio, lo deve anche ai loro insegnamenti. E quante persone hanno avuto una vita migliore, proprio grazie a tutti e tre!».

PIERFORTUNATO RAIMONDO

 

PER L’APPROFONDIMENTO

□ Quanto conta l’educazione, in particolare quella religiosa, nelle scelte dei ragazzi d’oggi? Quanto è importante il «primo annuncio» per rinverdire il cristianesimo?

□ Gesù «ascolta e interroga» i maestri. Come far riscoprire ai ragazzi il gusto dell’apprendimento, la capacità di meravigliarsi, il senso religioso delle cose?

□ Le cose di Dio sono le più importanti della vita. Ne siamo convinti? Riusciamo a trasmetterlo con credibilità?

 

FOTO: Los Angeles. Un ragazzo ebreo dei nostri giorni nel giorno del Bar Mitzvah.

Famiglia: prima cattedra di teologia

La nascita della fede nei nostri bambini e ragazzi trova la sua vera sorgente nella famiglia. È vivendo con papà e mamma che si realizza la prima e la più efficace delle catechesi. Ma oggi non è sempre così.

La prima iniziazione alla fede

□ Nell’ultimo numero della rivista Evangelizzare Armando Matteo, che insegna Teologia fondamentale alla Pontificia Università Urbaniana, ha scritto che è scomparso quello che possiamo considerare il «catecumenato familiare», cioè «quella silenziosa ma efficace opera di testimonianza della famiglia» che nella nostra attività catechistica e pastorale normalmente presupponiamo. È così che di fatto viene meno «la prima iniziazione alla fede», che per consuetudine avveniva in casa, in dialogo con papà e mamma.

Una presenza-assenza

□ Armando Matteo sviluppa ampiamente questi argomenti nel suo volume L’adulto che ci manca (Cittadella 2014). Scrive tra l’altro che i nostri ragazzi e giovani, che vediamo lontani dalla fede, sono in realtà figli di adulti sempre più indifferenti alla fede cristiana, figli di genitori che non si curano di viverla personalmente, né di trasmetterla ai figli.

□ Genitori che continuano a chiedere i sacramenti della fede, ma senza fede nei sacramenti; che portano i figli in chiesa, ma non aiutano i figli a conoscerla; che magari «chiedono ai loro piccoli di pregare e di andare a Messa, ma di loro neppure l’ombra in chiesa». E in casa nessun gesto di preghiera, né accoglienza del Vangelo di Gesù.

Tra fede e vita

□ Si tratta di genitori che di fatto costruiscono in famiglia una separazione evidente tra le scelte di vita e quelle del credere: «una divergenza che, pur non negando direttamente Dio, avalla l’idea che la frequentazione della vita in parrocchia e all’oratorio e pure l’ora di religione sia un semplice passo obbligato per l’ingresso nella società degli adulti».

□ La più drammatica delle conseguenze, per dirla nel modo più semplice, è che «se Dio non è importante per mio padre e per mia madre, non lo può essere per me. Se mio padre e mia madre non pregano, la fede non c’entra con la vita. Se non c’è posto per Dio negli occhi di mio padre e di mia madre, non esiste proprio il problema del posto di Dio nella mia esistenza».

La fede, una faccenda per bambini

□ Ma «Se è vero che gli occhi dei genitori sono la prima mappa del mondo», dice Matteo, «è altrettanto vero che gli stessi occhi sono pure la prima cattedra di teologia». E facendo riferimento alla catechesi, Armando Matteo conclude amaramente dichiarandone l’inefficacia, se questa non trova riscontro nella pratica degli adulti, perché questa catechesi finisce per tramettere l’idea che «l’esperienza della fede è una cosa “da bambini” e finché si è bambini».

□ Sono considerazioni che ci convincono sempre di più dell’importanza esigente di continuare a organizzare la catechesi coinvolgendo i genitori in incontri specifici per loro. È questo il «tema del mese» di questo numero (Genitori, si parte!, alle pp. 22-29), destinato a immaginare e organizzare gli incontri con i genitori dei nostri ragazzi.

Umberto De Vanna

Dove sono i ragazzi di oggi?

Nel giugno scorso a Bari si è tenuto il convegno nazionale dei direttori degli uffici catechistici diocesani. In tre giorni di intensi discorsi e dibattiti, sotto i riflettori sono stati posti i ragazzi di oggi. Il loro identikit si è confermato ancora una volta difficile da descrivere, perché imprevedibili, sorprendenti, irrequieti, mutevoli, sfuggenti. Unici e fuori dagli schemi dei manuali di psicologia.

Non più bambini e non ancora adulti

□ I ragazzi di oggi sono abitanti in una «terra di mezzo», senza confini precisi. Non sono ancora adulti, ma nemmeno bambini, e rivelano atteggiamenti che oscillano volentieri tra gli uni e gli altri.

□ Fa discutere il loro modo di (non)pensare, di (non)impegnarsi a scuola, di (non)essere presenti in casa, di (non)andare a messa o a catechismo…

□ La verità di un dialogo difficile tra il loro mondo e quello degli adulti si è presentata in particolare l’ultima sera durante il vivace e simpatico confronto tra i partecipanti al convegno e i ragazzi, protagonisti di un originale musical.

□ Nel dialogo, a chi chiedeva che cosa si aspettano dagli adulti, uno di loro, un ragazzo con i capelli dal taglio speciale, quasi strappando il microfono dalle mani di un suo animatore, ha replicato a velocità ultrasonica: «Perché non avete ancora capito di cosa abbiamo bisogno noi?». Interrogativo inaspettato e spiazzante, anche perché indirizzato a insegnanti, preti, educatori, genitori… Tutta gente del mestiere. Un autentico pugno nello stomaco che, dopo lo stordimento iniziale, è servito a confermare la sensazione che non è furbo continuare a ripetere luoghi comuni e appiccicare facili etichette a questi nuovi ragazzi.

I ragazzi al centro

□ L’eco di quel «non avete capito» sembra essere stato assorbito nei punti finali consegnati come promemoria da portarsi a casa sulla base dei temi affrontati nei gruppi di lavoro: le emozioni, il corpo, i valori, il pensiero, la relazione, la creatività e lo spirito. Sono parole che hanno cercato di raccontare i ragazzi, ma soprattutto di ascoltarli. E l’ascolto, coniugato con il tempo e la presenza accanto a loro, d’ora in poi dovrà arrivare prima delle parole da dire, prima dei consigli e delle indicazioni.

– Ascoltarli per capire di cosa hanno bisogno. Ascoltarli non per imbonirli o per trattenerli in gruppo o in parrocchia, ma per dare loro voce e renderli protagonisti.

– Ascoltarli per accoglierli, così come si presentano con le loro debolezze e ricchezze, difetti e virtù. Ascoltarli per dimostrare che essi sono importanti, insostituibili nella vita di una famiglia, di un gruppo, di una parrocchia.

– Ascoltarli sul serio e non facendo finta. In una parola, rimettendo i ragazzi «al centro dell’attenzione» delle occupazioni (e non solo pre-occupazioni), del tempo e della vita di ogni adulto che si incontra con loro. Con qualche grammo di umiltà e di autoironia e con quintali di simpatia verso questi ragazzi, che ‒ nonostante i loro alti e bassi ‒ si confermano, a volte, migliori di quello che sembrano, se non addirittura migliori degli adulti che hanno.

Valerio Bocci

Direttore Generale Elledici

Il cuore dell’annuncio: la Parola di Dio

L’annuncio cristiano nasce dalla Parola di Dio. Un catechista la frequenta spesso, ne è innamorato e la presenta come un tesoro per la vita.

 

«La parola di Dio è una cosa che non è uguale a una parola umana, a una parola sapiente, a una parola scientifica, a una parola filosofica. La parola di Dio è Gesù stesso. Io consiglio tante volte di portare sempre con sé un piccolo Vangelo, tenerlo nella borsa, in tasca e leggerne durante la giornata un passo, non tanto per imparare qualcosa, ma soprattutto per trovare Gesù» (papa Francesco).

 

Bibbia e catechesi

□ La catechesi non può fare a meno della Bibbia. È la sua sorgente, il punto di partenza, la guida autorevole alla lettura della storia. Il Documento di base Il rinnovamento della catechesi scrive: «La Scrittura è il Libro, non un sussidio, fosse pure il primo» (n. 107).

□ La Bibbia è la voce di Dio, il suo modo di farsi presente nella nostra vita. «Nei libri sacri», scrive la Costituzione dogmatica Dei Verbum, al n. 21, «il Padre che è nei cieli viene con molta amorevolezza incontro ai suoi figli ed entra in conversazione con essi».

□ Leggere la Bibbia è ascoltare Dio che ripete senza sosta: «Tu sei prezioso ai miei occhi, ti voglio bene, sono qui per te». Per questo è fonte di vita, e chi la ama non si stanca mai di ascoltarla.

 

I ragazzi e la Bibbia

□ Non dobbiamo sottovalutare i ragazzi. A loro piacciono le belle storie con un tocco di mistero. La Bibbia è complessa, ma non necessariamente complicata. È affascinante pensarla come una lettera inviata a ciascuno di noi.

□ Certamente non è facile leggerla: linguaggio antico, generi letterari variegati, serietà nei contenuti. Per questo è importante selezionare brani opportuni, esprimerli in modo vario e vivace.

□ La Bibbia è una miniera quasi infinita: il libro più diffuso al mondo continua a ispirare gli uomini da quasi duemila anni. Facciamo in modo che nei ragazzi rimanga il buon sapore dell’incontro con essa, oltre la memoria dei suoi contenuti. Non basterà una vita per accogliere tutto ciò che ha da dirci!

 

La Parola incarnata

□ Anni fa ebbe grande successo un libro di Michael Ende La storia infinita, da cui furono tratti film e videogiochi. In esso il protagonista, lettore di un libro, entrava nella storia mutandone il finale.

□ Chi incontra la Bibbia non ne muta il testo, ma diventa protagonista della storia. La Parola infatti va incarnata, cioè assolve il suo compito se incide sulla nostra vita concreta.

– □ È la storia della salvezza, iniziata dagli eventi biblici, che prosegue nella nostra vita di oggi, dove attraverso i testimoni e la liturgia, Dio continua a compiere meraviglie e a tracciare la nostra strada di seguaci di Cristo.

 

Le obiezioni possibili

□ «É un libro datato…». Ma il suo messaggio non è superato, proprio perché non sempre attuato dall’umanità. Il testo è stato tradotto anche in un linguaggio corrente ed è consultabile su supporti moderni, come tablet e i-phone.

□ «Come facciamo a sapere che è Parola di Dio?». Per noi è un dato di fede che ci consegna la Chiesa. Crediamo che sono ispirati dallo Spirito Santo quei testi ebraici e i racconti cristiani redatti nel primo secolo, quando erano ancora presenti i testimoni oculari.

□ «Siamo sicuri che i testi siano originali, veri?». Abbiamo una grande quantità di codici coincidenti; i frammenti più antichi del Nuovo Testamento risalgono al II secolo. Le versioni più antiche dei grandi della letteratura greca e latina spesso sono del Medioevo.

 

Il carrello delle idee

Un posto speciale

□ Diamo alla Bibbia il posto centrale. Nella stanza della catechesi è buona idea dedicare un angolo alla Parola. Un leggio, un cero, un fiore, un tappeto… comunicheranno l’importanza e la cura che vogliamo dedicarle.

 

Per ascoltare la Parola

□ Sono svariate le modalità d’ascolto della Parola: dalla lettura personale o comune, a quella dialogata, variando le voci dei personaggi e di un narratore; dal racconto alla drammatizzazione; da un canto alla sequenza di un film ispirati alla Bibbia.

□ Si può approfondire un brano biblico disegnando o colorandone le sequenze, rappresentandolo in un fumetto o in un teatrino. Per quest’ultimo si possono usare dei pupazzi di stoffa o di cartone, le ombre cinesi, o semplicemente personaggi di carta.

□ Basta un cono di carta alto 30 cm e aperto in alto, nel quale si infila capovolto un cono più piccolo, di circa 10 cm. Su quest’ultimo i ragazzi disegnano un volto, gli occhi, una bocca. Il personaggio è pronto in pochi istanti.

 

Per spiegare la Parola

□ Si parte dall’ascolto dei ragazzi: che cosa li ha colpiti, cosa è piaciuto, cosa hanno capito. Se ci sono parole difficili vanno spiegate.

□ La comprensione del testo può essere presentata come un gioco. Dei pennarelli colorati sottolineano luoghi, azioni, movimenti, personaggi e dialoghi.

□ Può essere utile dare indicazioni sulla vita in quel tempo e in quei luoghi. Così usare cartine e paesaggi, comunicare alcune date sicure.

□ Se ci sono illustrazioni del catechismo, della Bibbia, o altre della storia dell’arte, magari recuperate su Internet e proiettate, i ragazzi saranno aiutati a «vedere» la storia.

 

Per approfondire la Parola

□ Alcune tecniche ci possono aiutare. Ad esempio, raccontare lo stesso fatto dal punto di vista dei singoli personaggi, anche non protagonisti, o degli animali e oggetti presenti sulla scena (ad es. il Natale raccontato dall’asino e il bue, l’episodio dell’adultera raccontato dal punto di vista della terra sulla quale scrive Gesù).

□ Immaginare un possibile diverso finale, senza la presenza di Gesù; o le alternative possibili, per via di scelte diverse dei protagonisti.

□ Per attualizzare il brano, possiamo pensare a ciò che di simile succede oggi; o ragionare sull’insegnamento che può portare oggi nella nostra vita, cercando di essere pratici e concreti.

 

Per entrare nella Parola

□ Con i più grandi si può ragionare sul genere letterario a cui il brano appartiene, e inquadrarlo nel contesto del capitolo della Bibbia, notando ciò che avviene prima e ciò che avviene dopo.

□ In caso di dubbi e discussioni viene in soccorso il pensiero della Chiesa nella sua Tradizione.

□ L’antico metodo della Lectio è il punto di arrivo di qualsiasi percorso con la Bibbia. L’attenzione e la meditazione del testo biblico diventano contemplazione, colloquio con Dio e spinta all’azione, affinché la parola porti frutto.

PIERFORTUNATO RAIMONDO

Perdono e amore: è questo il Giubileo

L’amore ci ha messi al mondo, il perdono ci fa rinascere. Dobbiamo imparare a vivere insieme, accettarci, perdonarci.

 

Il perdono, un atto che rende liberi

Chiara Giaccardi, docente di sociologia e antropologia dei media dell’Università di Milano, il 25 maggio scorso ha lasciato per la Rai «Il pensiero del giorno». Ha detto: «Poco ama chi poco è stato perdonato. Così dice Gesù a chi lo rimprovera di lasciare che una donna ─ peccatrice per di più ─ gli asciughi i piedi bagnati di lacrime con i propri capelli». E si è chiesta: «Ma cos’è il perdono? Non certo una sanatoria, una mano di vernice su un muro imbrattato». Ma è «un atto di grande libertà, libertà dalla trappola della reazione, della vendetta, della durezza che prima di tutto indurisce chi la pratica».

 

Senza perdono non può esserci legame

«Senza perdono non può esserci legame», così ha aggiunto, perché «nel rapporto con l’altro incomprensioni e anche ferite sono inevitabili. Due strade allora: scegliere l’io e rinunciare al legame o scegliere il noi e perdonare. Un movimento eccedente che introduce novità, che dice che una realtà diversa è sempre possibile». E ancora: «Non c’è legame senza perdono… L’amore ci ha messi al mondo, il perdono ci fa rinascere… In questo movimento il perdono fa rinascere chi lo concede e chi lo riceve».

Chiara Giaccardi ha concluso ricordando ciò che raccomanda papa Francesco parlando del perdono: «Non dobbiamo stancarci di chiederlo. Perché Dio non si stanca mai di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia».

 

Amare «la gente» non è facile

Nella stessa rubrica il giorno dopo, il 26 maggio, è intervenuta la giornalista Nicoletta Tiliacos, che si è introdotta citando Linus, il famoso personaggio di Charles Schulz. Linus, in una delle battute più famose, dice: «Io amo l’umanità, è la gente che non sopporto». E ha commentato: «Si ride per l’apparente paradosso, ma poi si deve riconoscere che in quel paradosso c’è molta verità. Umanità è l’idea di una appartenenza comune; umanità è il richiamo al succedersi delle generazioni e alla condivisione di un unico destino. Idee nobili… ma che possono essere molto astratte e tutto sommato molto comode». Ha proseguito dicendo che la gente invece: «è quella che incontriamo uscendo di casa, sull’autobus… che condivide, sia pure momentaneamente, il nostro stesso spazio vitale, nel bene e nel male». Dalla gente, ha aggiunto, «sentiamo di doverci spesso difendere». E ha concluso: «Far coincidere nella percezione l’umanità e la gente è un esercizio difficile e a volte proprio non riesce, ma vale sempre la pena di provarci».

 

Un Giubileo che coinvolge tutti

Due interventi pubblici che arrivano al cuore del «Giubileo della Misericordia», che comincia l’8 dicembre. «In mille forme di perdono e d’amor rinascerai», dice un verso di Ada Negri citato da Chiara Giaccardi. Amore e perdono che possono render vero questo Giubileo. Un Giubileo che le considerazioni della Giaccardi e della Tiliacos ci assicurano che potrebbe coinvolgere tutti.

UMBERTO DE VANNA

Con la gioia negli occhi e nel cuore

Per entrare nella vita e nella catechesi con uno spirito grande, ci rifacciamo questa volta alle parole di una giovane ebrea che ha chiuso i suoi giorni a soli 29 anni in un campo di sterminio.

Il Diario di Etty Hillesum

□ Etty Hillesum è certamente una delle figure più luminose del secolo scorso. Nata in Olanda, è stata vittima dell’occupazione nazista e ha concluso la sua breve vita nel 1943 a 29 anni nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo Diario, pubblicato solo nel 1981, rivela la sua personalità, il suo amore alla vita, testimonia il suo stato d’animo sempre portato a vedere gli aspetti positivi di ogni situazione, anche la più dolorosa e tragica, vivendo sempre in stretta comunione con il suo Dio, così vicino al Dio cristiano.

□ Rileggendo questo Diario a poco più di cento anni dalla sua nascita (1914) ci si imbatte in pensieri che hanno dello straordinario e che possono dare anche a noi catechisti la disposizione più favorevole per affrontare le inevitabili consuete difficoltà con un atteggiamento non troppo pauroso, di chi si scoraggia alle prime avversità, ma che sa organizzarsi ed accogliere ogni nuova sfida con un’apertura dell’animo grande.

Donare anche agli altri la forza della vita

□ Scrive Etty nel suo Diario: «Tempo fa, Hans de Puis, sulle scale dell’università, mi ha detto: “Sì, sei proprio una personalità radiosa”. E io credo che potrei esserlo e che potrei donare anche agli altri un po’ di forza nella vita e che potrei davvero essere felice. Perché questo è un punto di arrivo: essere davvero, intimamente felice, accettare e gustare il mondo di Dio senza allontanarmi dal tanto dolore che c’è».

□ Che dire di più e meglio? È questo il modo giusto di incontrare e accogliere i ragazzi e i loro genitori. Il catechista è una persona felice che si dona e si rende disponibile a starti accanto.

Esserci con tutto il cuore

□ Un altro pensiero, scritto nel 1942, a pochi mesi dalla fine: «Quest’oggi ho imparato una cosa fondamentale: dove per caso ci si trova collocati, là si deve esserci con tutto il cuore. Quando si ha il cuore da un’altra parte, non si riesce a dare abbastanza alla comunità nella quale per caso ci troviamo, e la comunità, di conseguenza, s’impoverirà».

□ Così è nella catechesi, a cui non ci si può dare in punta di piedi, provvisoriamente, con il desiderio di fare altro il più presto possibile. Mentre si deve sentire profonda l’appartenenza, comprendere l’utilità del nostro servizio ai ragazzi e alle famiglie, felici di percorrere insieme a loro lo stesso cammino.

Far crescere l’altro

□ Scrive ancora Etty Hillesum nel suo Diario: «L’altro, portarlo con sé sempre e ovunque, racchiuso in se stessi, e là vivere con lui. E non solo con uno, ma con tanti. L’altro, accoglierlo nello spazio interiore e lasciare che lì raggiunga la fioritura, dargli un luogo nel quale possa crescere e dispiegare se stesso».

□ È questo il senso di una catechesi che funziona: aiutare i ragazzi a crescere fino a raggiungere una magnifica «fioritura», finché non si realizzi il miracolo di vederli avviati davvero a una bella vita cristiana.

UMBERTO DE VANNA

Gesù, il buon pastore

La copertina presenta un’immagine «classica» di Gesù, e aiuta il gruppo di Luisa a entrare nel modo di fare di Gesù e della sua Chiesa.

 Parliamo di Lui

Questa volta non ci vuole più di un secondo per riconoscere il protagonista: è Gesù e si sta occupando delle sue pecore.

Filippo vuole fare un po’ lo spiritoso: «Ma Gesù non faceva il falegname? Quindi non ha mai fatto il pastore!».

«Lo ha fatto, ma in un modo diverso», precisa Luisa.

Professione pastore

«Io non ho mai visto un pastore», confessa Giusy. «Cosa fa durante la giornata?».

«Si prende cura delle sue pecore. Ha costruito per loro un rifugio per la notte. Di giorno le conduce ai pascoli migliori e controlla che nessuna si perda o si faccia male».

«Quindi è un bel mestiere, all’aria aperta». Tony sta sognando un po’.

«Beh, ha i suoi pregi e i suoi difetti. Sicuramente ci si sporca, e non di biro…».

Luisa lascia immaginare. «È un lavoro che ha bisogno di amore e passione. Gesù dice che un buon pastore ─ a differenza di un guardiano a pagamento ─ non scappa quando vede il pericolo del lupo. Perché le pecore sono sue. Gesù considera così ciascuno di noi: suoi discepoli, suoi fratelli».

Sui passi di Francesco

«A me il disegno ricorda una foto di papa Francesco. Ho visto una volta che anche lui aveva una pecora sulle spalle!». Sonia si illumina pensando a lui.’

«Sì, mentre assisteva a un presepe vivente gli hanno messo sulle spalle un agnellino. Lui è stato al gioco e si è messo a ridere. E la foto ha fatto il giro del mondo. Questo papa ricorda Gesù, soprattutto nei confronti delle pecore smarrite, dei poveri e degli ultimi che hanno bisogno della misericordia di Dio».

«Cos’è la misericordia?». Quando non capisce, per fortuna, Claudia chiede il significato delle parole!

«È la virtù del cuore di Dio: ama e perdona le creature “misere”, coloro che sanno di aver bisogno di Lui». Luisa sa che quest’anno sarà un Giubileo della Misericordia. Questa parola deve iniziare a entrare nei ragazzi. Ma ora le interessa un ultimo aspetto.

Pastori, anche noi

«Non solo i grandi sono chiamati a essere buoni pastori, a prendersi cura di qualcun altro…».

«Io spesso devo star dietro al mio fratellino più piccolo». Franca sta seguendo.

«Io per una settimana ho dovuto aiutare mio nonno che si è rotto una gamba». Anche Filippo ha centrato l’argomento.

«Io do sempre da mangiare al mio pesciolino rosso». Luca non vuol essere da meno!

«Bravi. Proprio ciò che intendevo! Gesù ci insegna uno stile di vita, e non c’è bisogno di essere professori o adulti per metterlo in pratica. Tutte le volte che vogliamo bene a qualcuno, e siamo attenti ad aiutarlo, Gesù è felice, perché sa che il suo gregge di uomini è in buone mani».

Luisa guarda orgogliosa i suoi ragazzi. Mai come oggi si sente chioccia, anzi, pastora.

Nella foto: Papa Francesco, anche lui Buon Pastore!

PER L’APPROFONDIMENTO

° Noi catechisti siamo i pastori più visibili dei nostri ragazzi. Quanto teniamo a loro? Quanto tempo gli dedichiamo? Sono presenti nella nostra preghiera?

° «Conosco le mie pecore ed esse conoscono me», dice Gesù. Quanto le conosciamo? Quanto conoscono loro di noi?

° Gesù ha un pensiero per le pecore che non sono nel recinto. Cosa facciamo, come comunità, per i ragazzi che non vengono a catechismo, perché appartenenti a famiglie indifferenti o di altre religioni? C’è disponibilità e accoglienza nei loro confronti?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

La chiamata di Mosé

La storia di Mosè. Uno spunto per parlare della chiamata di Dio, che può fare di noi cose grandi, nonostante fatiche e paure.

 

Un’esperienza di tutti

Di che cosa abbiamo paura? Questa volta l’incontro di catechesi decolla a partire da questa semplice domanda della catechista Luisa.

«Io ho paura del buio», confessa Claudia.

«Io non riesco a vedere certi film orridi», dichiara Veronica.

«Io non sopporto i cani ─ dice Tony «che tutti credono coraggioso ─. Una volta uno mi è corso dietro».

«Io ho paura per i miei quando bisticciano forte. Non mi piace vederli giù». Giusi tocca corde profonde. Forse ha timore che si separino.

 

Le paure di Mosè

Luisa estrae la rivista, dove campeggia un uomo visibilmente preoccupato. Quali saranno le sue paure?

«Secondo me ha paura del fuoco», azzarda Filippo.

«Ma sta guardando altrove ─ sbotta Francesca ─. Sembra che abbia visto un fantasma!».

«In effetti ha sentito una voce che non si aspettava di sentire», spiega Luisa. «La voce di Dio».

«Come poteva sapere che era lui? Si è presentato?», si chiede Fulvia.

«Sì, gli ha detto: “Ciao, sono Dio!”». Filippo fa lo spiritoso.

«Beh, c’era qualcosa di molto strano. Quel cespuglio bruciava ma non si consumava. E la voce si presentava come Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe», chiarisce Luisa.

«Allora… è Mosè!». Giulia ama le storie e ricorda. «Aveva perso una pecora e Dio lo chiamò a liberare gli Ebrei schiavi in Egitto».

 

Un eroe dal volto umano

«Brava!», continua Luisa. «Anche per questo aveva paura».

«E perché?», si domanda Tony . «Sarebbe diventato un eroe!».

«Nella Bibbia gli eroi sono molto umani. Mosè ad esempio è timido, balbuziente…».

«Cosa vuol dire balzuppiente?». Candida, Rossella.

«Vuol dire che ba… ba… baba… balbetta». Luca quando si mette è cattivello.

«Temeva di non essere ascoltato dal popolo, che lo ricordava come figlio del faraone; temeva di non essere all’altezza del suo compito».

«E come si è convinto?», si chiede Erika.

«Dio gli avrà tirato un fulmine sulla testa!». Filippo oggi è in vena.

«No, quello era Zeus!», chiarisce Luisa tra le risate. «Dio gli ha fatto capire che aveva i doni giusti per realizzare il proprio compito. Come ogni persona».

 

Noi come Mosè

«Davvero? Anche io che sono un po’ lento?», si stupisce Gianni.

«Certo. Mica tutti devono essere atleti o dottori! A volte proprio i più piccoli cambiano il mondo. E poi, nessuno è solo. Per Mosè avrebbe parlato suo fratello Aronne».

«Anch’io ho imparato a giocare a calcio da mio fratello grande», confida Tony.

«Fratelli, amici, sconosciuti: tutti ci possono aiutare nella nostra “missione”. Dio ci starà vicino e non ci farà mancare il necessario. Come quel bastone…». Luisa lo indica e Luca coglie subito l’idea.

«È vero: io ho visto il film, e con quel bastone Mosè separerà il mare».

«Il bastone è solo uno strumento. Il prodigio lo farà la sua fede: crederà in se stesso e in Dio. E per questo sarà ricordato a lungo». Luisa si ferma guardando negli occhi ciascuno. «Abbiate fiducia e farete cose memorabili anche voi».

 

PER L’APPROFONDIMENTO

• Mosè ha ricevuto molto dalla vita: salvato dalle acque, cresciuto a corte, sente e vede Dio. Cosa facciamo noi dei doni ricevuti? Li mettiamo a disposizione della comunità?

• I prodigi di Dio passano attraverso la fiducia del suo popolo. Com’è la nostra fede? Calda, tiepida o freddina?

• Dopo aver operato con mano potente, Dio chiederà in cambio fedeltà e rivelerà a Mosè e al popolo la Legge, i Comandamenti. Come li accogliamo?

 

PIERFORTUNATO RAIMONDO

Papa Francesco e i bambini

Perché papa Francesco rende così visibile la sua predilezione per i piccoli? Forse perché «vuole come tutelarli con il suo abbraccio e proteggerli da una generazione incapace di amarli per quello che sono», dice Paola Ricci Sindoni.

 

Un gesto che si carica quasi di sacralità

□ Ancora una volta voglio rifarmi al «Pensiero del giorno» che Rai1 fa sentire ogni mattina poco prima delle 6. Sono pensieri che spaziano più spesso su temi di attualità, ma non di rado lanciano messaggi ricchi di suggestioni estremamente positive.

□ Mi riferisco questa volta all’intervento di Paola Ricci Sindoni, professore di Filosofia, a proposito di papa Francesco e i bambini. Ha detto: «È straordinario vedere come papa Francesco s’illumini quando accarezza e bacia un bambino». È un gesto, dice, che «si carica di sacralità, quasi un omaggio a questa categoria di persone che subisce nella nostra contraddittoria società il trattamento più disparato».

 

Idolatrati, ma anche abbandonati e sfruttati

□ E passa in rassegna, forte della sua competenza e professionalità, le situazioni in cui i ragazzi d’oggi vengono a trovarsi: «I bambini», afferma, «sono infatti idolatrati nella fascia medio alta della popolazione; diventano i padroni capricciosi e violenti di due genitori che hanno smarrito il loro ruolo educativo; sono al contrario sfruttati e violentati in altre zone del pianeta, qualche volta abusati da coloro i quali dovrebbero accudirli».

 

Lo sguardo del Papa

□ Papa Francesco probabilmente «vede in loro tutti questi drammi insieme», continua Paola Ricci Sindoni, «per questo si prende cura di loro. Per questo vuole come tutelarli con il suo abbraccio e proteggerli da una generazione incapace di amarli per quello che sono». Perché i bambini sono delle piccole creature che hanno bisogno di tutto e di tutti, «soprattutto di amore di rispetto».

 

Riflessioni importanti per il nostro tempo

□ Queste osservazioni ci inducono ad accompagnarci a questi bambini, in famiglia e nell’incontro catechistico, con maggior convinzione e consapevolezza. Il tempo dedicato ai piccoli è prezioso. È sempre seme gettato che porterà frutti.

□ Santi educatori come Angela Merici, Filippo Neri, Don Bosco, Leonardo Murialdo, Luigi Orione e tanti altri hanno scelto di vivere il Vangelo mettendosi al servizio dei più giovani.

 

Ogni piacevolezza possibile

□ Angela Merici supplica le sue suore educatrici a voler ricordare e a tenere scolpite nella mente e nel cuore tutte le ragazze affidate alle loro cure, a ricordarle ad una ad una; e non solo i loro nomi, ma anche la loro condizione sociale e il temperamento. □ Cosa non difficile, precisa, se saranno avvicinate con amore. E aggiunge: «Dovete sforzarvi di usare ogni piacevolezza possibile. Soprattutto guardatevi dal voler ottenere alcuna cosa per forza: poiché Dio ha dato a ognuno il libero arbitrio e non vuole costringere nessuno, ma solamente propone, invita e consiglia». E se a volte si deve usare qualche richiamo, precisa, dobbiamo essere mosse a questo solo dall’amore e dallo zelo.

UMBERTO DE VANNA

Non ride mai

Tante volte papa Francesco ha sottolineato l’importanza degli anziani all’interno della famiglia, anche per la loro presenza positiva sul versante educativo.

In una parrocchia di Annecy, in Francia, durante uno dei tanti incontri con le famiglie, è stato raccontato questo dialogo curioso e simpatico.

«Quand’è che uno è vecchio?», hanno chiesto alla piccola Giovanna, cinque anni. «È quando si hanno i capelli bianchi?».

«Oh, no! La nonna ha i capelli bianchi, ma non è vecchia. Lei non si stanca mai di giocare con me!».

«Si è vecchi quando si hanno le rughe?».

«Niente affatto! Il nonno di Francesco è pieno di rughe, ma ha la faccia bella come il sole».

«Si diventa vecchi quando non si può più camminare? Quando si vive in una sedia a rotelle?».

«Non è vero! Il mio fratellino non cammina e lo si porta in giro col passeggino, ma non è vecchio!».

«Tua mamma è vecchia?».

«Oh, no! La mamma è grande, non vecchia!».

«Ma tu conosci qualcuno allora che sia vecchio, molto vecchio?».

«Oh, sì. La signora Maddalena, lei sì che è vecchia, vecchia, vecchia… (la signora Maddalena è una donna di cinquant’anni, vestita con eleganza, dall’andatura vivace…)».

«Cos’è che ti fa dire che è vecchia?».

«Beh, lei… non ride mai!»

Tener duro e mantenersi fedeli

Ha commentato una psicologa: «Spinti dallo squallore ambientale, i giovani in genere hanno paura dell’avvenire (genitori separati o disoccupati, incertezza sul futuro…). Questi giovani vedono molti adulti a pezzi, e pochi che “tengono duro”. Ora i loro nonni sono persone che hanno tenuto duro. Hanno superato tante difficoltà e si sono mantenuti fedeli. È questo il motivo per cui le persone anziane godono di una certa aureola presso i giovani. Ai loro occhi l’età adulta non è un handicap. Al contrario è agli anziani che i giovani fanno le loro confidenze per essere consigliati».

Una grazia, una missione, una vocazione

Papa Francesco ricorda che quando è stato nelle Filippine, il popolo lo salutava dicendo: «Lolo Kiko», cioè «nonno Francesco». E commentava: «Il Signore ci chiama a seguirlo in ogni età della vita, e anche l’anzianità contiene una grazia e una missione, una vera vocazione del Signore».

«I nonni sono importanti nella vita della famiglia», ha aggiunto. «Per comunicare quel patrimonio di umanità e di fede che è essenziale per ogni società. Il dialogo tra generazioni è un tesoro da conservare e alimentare. I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita»

«Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita!», ha detto ancora papa Francesco. «Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere a un giovane in cerca del senso della fede e della vita! Le parole dei nonni hanno qualcosa di speciale per i giovani. E loro lo sanno».

UMBERTO DE VANNA